Le dinamiche di gruppo

Le dinamiche presenti nei gruppi settari hanno radici profonde nella storia evolutiva dell'uomo che ha dovuto costituire gruppi per poter garantire la sopravvivenza della specie:

"I membri di tali gruppi si disperdevano e si aggregavano secondo le condizioni ambientali, acquisendo metodi di riconoscimento e di affiliazione come di esclusione che divennero importanti per assicurare la giusta distribuzione della preda catturata e per prevenire l'intrusione di persone dall'esterno del gruppo operativo." (Michele C. del Re, L'adesione al culto emergente: conversione e/o plagio, in "La persuasione socialmente accettata, il plagio e il lavaggio del cervello", Psichiatria  e Territorio, 1990, Forte dei Marmi (LU), p. 119)

Di conseguenza ogni membro del gruppo ha una tendenza intriseca a:

1. classificare gli individui tra membri del gruppo e esterni e a promuovere una diffidenza verso questi ultimi sui quali è possibile proiettare i conflitti interni

2. legarsi al gruppo come fonte di supporto, ciò comporterebbe un condizionamento operativo già discusso sotto il nome di relief effect

3. Infine in virtù del necessario consenso comune per mantenere l'omeostasi del sistema l'individuo all'interno del guppo tende a accettare la visione del mondo dominante ponendo in atto una serie di filtri cognitivi al fine di ignorare gli input contrastanti con tale visione del mondo (fenomeno della dissonanza cognitiva ricollegabile al meccacnismo del relief effect).

A proposito della rilevanza della pressione del gruppo, si potrebbero citare alcuni studi di psicologia sociale.
Un esperimento particolarmente riuscito fu quello di Salomon Asch nel 1946.
L'esperimento veniva svolto su gruppi di 8 studenti universitari, ai quali venivano mostrate due tavole con delle linee disegnate sopra.
Ai volontari venne presentato come un semplice esperimento sulla percezione visiva. Si trattava di individuare sulla seconda tavola (dove erano disegnate tre linee di diversa lunghezza) la linea identica a quella disegnata sulla prima.

In realtà i ricercatori si erano precedentemente accordati con sette degli otto studenti affinché dessero risposte sbagliate.
Il risultato fu piuttosto sconcertante, il 36,8% dei soggetti era pronto ad andare contro l'evidenza dei suoi sensi pur di sottomettersi alla visione palesemente errata del gruppo.

Si notò che la percentuale variava a secondo del numero di persone che contraddiccevano le risposte del soggetto. La presenza di un compagno che convalidasse le proprie percezioni era assai utile per non sottomettersi alle convinzioni del gruppo. In ogni caso era evidente l'imbarazzo e lo sconcerto e "i partecipanti mostrarono gradi diversi di disagio emotivo, che andavano dalla live angoscia a qualcosa di simile alla depersonalizzazione." (Paul Watzlawik, La realtà della realtà, Astrolabio, Roma 1976, p. 84)
In alcuni casi l'esperimento produsse un'alterazione della capacità percettiva e alcuni soggetti rimasero della convinzione che la maggioranza aveva ragione.

Scrive Watzlawick:
"Come Asch rivela, il fattore più spaventoso della resa cieca dei suoi soggetti è il desiderio profondo e radicato di essere in accordo con il gruppo [...] La premura di cederela propria indipendenza, di rinunciare all'evidenza dei propri sensi per poter avere la soddisfazione tranquillizzante nonstante la deformazione della realtà, di sentirsi in armonia con il gruppo, questa è la sostanza che alimenta demagoghi e dittatori" (Id., Ibid., p. 85)
In effetti non esiste punizione più disumana che l'essere ignorato, colpevolizzato, abbandonato e cacciato dal gruppo.
A parte i casi in cui ci fu una vera e propria deformazione percettiva, coloro che si conformavano alla maggioranza lo facevano per lo più spinti dal bisogno di adeguarsi, per non sentirsi diversi e quindi con l’intento di sfuggire a un disagio emotivo. Questa posizione di compiacenza malgrado non corrisponda a una reale autopersuasione può essere il primo passo verso la conversione finale. Infatti alla base di questa prima fase di “compiacenza” sta l’intento di tutelare la propria immagine ed evitare il disagio, ma è proprio nel momento in cui l’individuo compie un atto simile credendo di essersi finalmente liberato dalla pressione del gruppo che cede una parte della sua indipendenza: sarà in seguito vincolato — secondo il principio di coerenza/impegno — alle posizioni prese in pubblico, finirà perciò col razionalizzare in qualche modo (per sfuggire nuovamente al disagio) la posizione sostenuta, visto che nessuno lo ha materialmente costretto. Non per niente è bene noto che per potenziare ancor di più la tecnica del “Piede nella porta” occorre far prendere per iscritto un particolare impegno e divulgarlo.Cialdini spiega che era questa la tecnica usata nel progamma di rieducazione dei prigionieri di guerra in Cina (p. 64). I Cinesi procedevano per gradi: iniziavano con una richiesta minima, per esempio la dichirazione: “Gli Stati Uniti non sono perfetti”, dopo di ciò alzavano il tiro e chiedevano in che cosa precisamente non sono perfetti e il tutto veniva trascritto. Il prigioniero piano piano arrivava a fare una serie di affermazioni sempre più compromettenti che venivano trascritte e da lui firmate. Per risolvere lo stato di dissonanza cognitiva l’individuo operava una serie di razionalizzazioni che lo portavano spesso a ridefinire i propri pensieri e quindi a cambiare considerevolmente il suo atteggiamento nei confronti dell’America.

Un esperimento ancor interessante e al contempo terribile fu quello di Stanley Milgram, all'Università di Yale, nel 1963:

Ai volontari fu offerta una modica somma per partecipare all'esperimento. Vennero abbinati a coppie, con l'accordo che uno dei due dovesse partecipare in qualità di insegnante-correttore, mentre l'altro come allievo.
L'"insegnante" (il vero soggetto dell'esperimento) venne accompagnato in una stanza e posto al controllo di un pannello. Sul pannello si trovavano vari pulsanti, gli fu spiegato che ogni pulsante, contraddistinto da un numero, somministrava una scarica elettrica. Si partiva da 15 fino a 450 volts. L'allievo veniva invece posto in una finta sedia elettrica nella stanza adiacente.


Fu spiegato che l'esperimento mirava alla valutazione degli effetti prodotti dalle punizioni sull'apprendimento, l'istruttore fu lasciato libero e poi istigato a punire gli allievi poco dotati, con scariche progressivamente sempre più forti. Nell'altra stanza l'allievo fingeva e urlava di dolore.
"[...] i soggetti si dimostrarono notevolmente succubi e obbedienti alle richieste del ricercatore: per la precisione, il 62% di essi arrivarono a somministrare scariche elettriche teoricamente mortali" (Alessandro Usai, I profili penali del condizionamento psichico , Giuffré Editore, p. 112)

È ancor più sorprendente il fatto che all'istruttore, prima di iniziare l'esperimento, fu fatta provare la scarica elettrica di 45 volts (che è già abbastanza dolorosa) perché potesse verificare l'efficacia delle punizioni che andava a somministrare.

Milgram cerca di spiegare il fenomeno in questi termini: "L'essenza dell'obbedienza consiste nel fatto che una persona giunge a vedere se stessa come strumento utile per portare avanti i desideri di un altro individuo e quindi non si considera più responsabili". (Stanley Milgram, Obedience to Authority, Harper & Row, New York (1974)

Ma questo non è l’unico esperimento sul tema. Un altro esperimento significativo fu effettuato presso un ospedale degli Stati Uniti e coinvolse 22 infermiere che ricevettero una telefonata da parte dello sperimentatore, il quale, spacciandosi come un medico dell’ospedale ordinò loro di somministrare 20 milligrammi di Astrogen a un malato (un dosaggio potenzialmente pericoloso). Il 95% delle infermiere adempirono alla richiesta (anche se furono fermate in tempo) malgrado il regolamento non prevedesse prescrizioni per telefono né era consentisse l’uso di quella mediciina nel reparto. Inoltre le infermiere non avevano mai visto né sentito quel medico prima di allora. La cosa curiosa è che a una intervista fatta tempo prima ad altre infermiere era risultato che non si sarebbero mai sognate di fare una cosa simile.

 

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