Direttive, compiti a casa,
interventi metaforici e paradossali

Erickson in linea con un approccio pragmatico e comportamentale dava delle direttive e dei compiti a casa al cliente.

Secondo Haley tale pratica assolve vari scopi:

"1. Il principale fine della terapia è di fare in modo che le persone si comportino in maniera diversa e che diverse siano le esperienze vissute. Le direttive sono una maniera di rendere possibili questi cambiamenti.

2. Le direttive vengono usate per intensificare il rapporto con il terapeuta [...] Se la direttiva è qualcosa che le persone sono chiamate a svolgere durante la settimana, il terapeuta in certo modo rimane nelle loro vite per tutto questo periodo di tempo. [...]

3. Le direttive vengono usate per avere informazioni. [...] che facciano o meno ciò che il terapeuta ha detto di fare, che se lo dimentichino o che ci provino senza riuscirci, il terapeuta riceve informazioni che altrimenti non otterrebbe" (Jay Haley, La terapia del problem-solving, Nuova Italia Scientifica, 1985 Roma, p. 56)

Chiaramente in caso il cliente non metta in atto la direttiva, l’atteggiamento migliore del terapeuta è quello di considerare ciò come una sconfitta del cliente: non ha fatto uno sgarbo al terapeuta ma a lui stesso perché ha perso una opportunità di cambiamento (anche se a volte può essere utile la posizione down: dichiarare apertamente la propria sconfitta).

Alcuni terapeuti potrebbero non ritenere opportuno o etico un’approccio eccessivamente direttivo. Secondo Haley la questione non si pone poiché tutto ciò che accade in terapia può essere inteso come una direttiva. Il terapeuta se non vorrà dirigere in maniera esplicita lo farà in maniera implicita:

"Ci possono essere occasioni in cui il terapeuta non vuole assumersi la responsabilità di dirigere il comportamento altrui. Per esempio, qualcuno potrebbe chiedere: "dovrei lasicare il mio lavoro?" o "dovrei divorziare da mia moglie?"; in questo caso è bene rispondere: "questo è qualcosa che devi scegliere da solo". Tuttavia, se il terapeuta ha delle opinioni su simili decisioni, queste vengono in ogni caso comunicate attraverso ciò che il terapeuta dice apertamente o implicitamente, con il tono di voce e il modo in cui si muove." (Id. ibid., p. 57)

La terapia breve strategica secondo Haley è come una partita a scacchi nella quale occorre conoscere le regole del gioco, le tattiche dell’avversario e avvalersi di una serie di strategie consolidate al fine di dare scacco matto.

La differenza fondamentale da una partita di scacchi è che la terapia è un gioco a forma diversa da 0, vale a dire che non prevede un vincitore o un vinto: i giocatori perdono o vincono insieme.

 

Terapia breve strategica

Tramite lo studio del lavoro di Erickson – inizialmente da parte di Jay Haley e John Weakland – si poté constatare come l’approccio terapeutico di Erickson consistesse nell’applicazione pragmatica delle idee che si stavano sviluppando a Palo Alto con il progetto di ricerca promosso da Bateson intorno ai "paradossi dell’astrazione nella comunicazione".

In effetti le prescrizioni paradossali utilizzate da Erickson erano in linea con i principi matematici della teoria dei tipi logici da cui si sviluppò il modello di doppio legame, con la teoria dei sistemi e con la cibernetica. Per esempio Erickson comunicava a più livelli, prescriveva il sintomo o incoraggiava paradossalmente la resistenza, entrava in contatto con un solo paziente e finiva per curare l’intera famiglia, faceva ampiamente ricorso all’"effetto valanga" ecc.

In seguito, grazie allo studio dell’approccio Ericksoniano e grazie agli ulteriori contributi di Paul Watzlawick, Richard Fisch e Don Jackson, si è messo a punto un modello di terapia breve strategica.

Le basi teoriche della terapia strategica le troviamo nel libro Change nel quale si integrano brillantemente i modelli del cambiamento umano con modelli matematici presi a prestito dalla teoria dei tipi logici di Russell e Whitehead e dalla teoria dei gruppi.
(Paul Watzlawick, John H. Weakland, Richard Fisch,Change, Astrolabio, 1974 Roma)

La terapia breve parte dal presupposto che il problema si regge sulle "tentate soluzioni" del paziente e delle persone che gli stanno intorno che, piuttosto che risolvere la questione, finiscono per retroagire sul problema complicandolo. Il primo passo della terapia è la comprensione del funzionamento del sintomo – inteso come un sistema cibernetico autopoietico – nella situazione attuale della persona  piuttosto che ricercare le sue cause originarie in un lontano passato. 

Trovato il modo in cui si mantiene il problema si può passare a un intervento paradossale e indiretto che contribuisca alla "rottura del sistema percettivo-reattivo "rigido" del soggetto attraverso la rottura del meccanismo contorto di "tentate soluzioni" che mantengono il problema, e del groviglio di retroazioni interpersonali che si vengono a costruire su questa base." (Giorgio Nardone, Paul Watzlawick, L’arte del cambiamento, Ponte alle Grazie, Milano 1999, p. 36)

Se si segue un approccio di questo tipo il cambimento può anche essere improvviso così come accade spesso in natura. L’importante è individuare le regole fondamentali che governano il sistema per poi modificarle: "I teorici del sistema hanno parlato di ps come di quel punto nodale su cui converge il massimo coefficiente di funzioni essenziali al mantenimento proprio di un dato sistema. Essi definiscono il ps come il punto, mutando il quale si ha il massimo cambiamento del sistema con un minimo dispendio energetico." (M. Selvini Palazzoli, L. Boscolo, G. Cecchin, G. Prata, Paradosso e controparadosso, Feltrinelli, 1975 Milano, p. 59)

Se vogliamo trovare il punto nodale occorre fare particolare attenzione alle ridondanze del sistema. Per ridondanze si intende tutte quelle sequenze interattive aventi carattere ripetitivo. Se un ridondanza diventa prevedibile e si verifica in stretta relazione con un altro evento (per esempio soluzione-problema-soluzione) possiamo star certi che abbiamo trovato una regola che governa il sistema.

La persona non riesce a risolvere la sua problematica perché cerca la soluzione all’interno del modello del mondo che ha prodotto il problema.

Costui potrà dirvi che ha cercato di risolvere il problema in tutti i modi possibili. A un’analisi più attenta si troverà che le tentate soluzioni facevano parte della stessa classe di risposte (per esempio punire con il silenzio, con le botte oppure sgridando). Queste soluzioni, in quanto appartenenti allo stesso livello logico, non erano sufficientemente diverse fra di loro e quindi non producevano quella differenza che fa una differenza.

Quando la soluzione non sortiva i risultati desiderati, il cliente, il più delle volte si impelagava in una sorta di escalation simmetrica con il problema impiegando maggiori dosi dello stesso rimedio.

In tal senso più cerca di cambiare e di migliorare la situazione e più questa tende a rimanere la stessa. Si dice che la persona è presa in un gioco senza fine. È come se fosse vittima di in una sorta di incantesimo. Simile a all’ubriaco della barzelletta cerca la chiave sotto il lampione perché lì c’è luce piuttosto che cercarla altrove. In altre parole il sistema è prigioniero delle sue regole e non è in grado di produrre dal suo interno una regola per il cambiamento delle sue regole (una metaregola).

Le origini di questo atteggiamento sono da ritrovarsi nella logica binaria del tipo o/o (doverizzazioni, catastrofizzazioni, assolutizzazioni) che non consente quella "visione multioculare" del problema necessaria a risolverlo.

A questo punto occorre distinguere due tipi di cambiamento.

Un cambiamento di tipo 1 che fa riferimento alle premesse del sistema. Tale tipo di cambiamento una volta messo in atto lascia il sistema invariato.

Poi vi è un cambiamento di tipo 2 che non fa riferimento alle premesse del sistema e quindi dall’interno del sistema può apparire paradossale, illuminante o assurdo. Tale cambiamento cambia il sistema stesso:

"Facciamo un esempio di tale distinzione in termini più comportamentistici. Una persona che ha un incubo può fare molte cose nel suo sogno: correre, nascondersi, lottare, strillare, saltare da un dirupo, ecc. ma nessun cambiamento da uno qualunque di tali comportamenti a un altro porrebbe mai fine all’incubo. D’ora in poi ci riferiremo a questo tipo di cambiamento come al cambiamento 1. L’unico modo di uscir fuori da un sogno implica il cambiamento dal sognare all’esser desti. L’esser desti, evidentemente, non fa più parte del sogno, ma è un cambiamento a uno stato completamente diverso. D’ora innanzi ci riferiremo a questo tipo di cambiamento come al cambiamento 2." (Paul Watzlawick, John H. Weakland, Richard Fisch,Change, Astrolabio, 1974 Roma, p. 27)

Si potrebbe pensare che occorra una ridefinizione cognitiva della realtà del cliente per compiere il salto di livello logico neccesario a uscire dalla gabbia nella quale si è imprigionato. In effetti, un risultato finale del cambiamento di tipo 2 è la creazione di un sistema di punteggiatura alternativo della realtà. Tuttavia un intervento cognitivo anche se orientato all’hic et nunc può essere estremamente lungo e laborioso.

Anche una terapia di tipico esclusivamente comportamentale seppur breve può incontrare notevoli resistenze, poiché ogni sistema ha una tendenza naturale all’omeostasi e quindi a rifuggere dal nuovo. A questo punto entra in gioco l’intervento indiretto e suggestivo alla Milton Erickson che può scardinare le premesse epistemologiche del soggetto a partire da un intervento di tipo comportamentale che, tramite trabocchetti o benefici imbrogli permette di "solcare il mare all’insaputa del cielo".

La resistenza tra l’altro, ci insegna Erickson, non va considerata un nemico poiché contiene quella pulsione che, se canalizzata in modo diverso, provoca la risoluzione del sintomo.

Potremmo definire questa terapia una terapia comportamentale che fa tesoro del costruttivismo, della cibernetica, della terapia sistemica e dell’ipnosi.

Si può anche qualificare come una ipnoterapia senza trance (Giorgio Nardone, L’arte del cambiamento, Ponte Alle Grazie, p. 75).
Anche se a mio parere risulta corente con l’approccio Ericksoniano definirla come una terapia ipnotica senza un’induzione formale di trance.

Se consideriamo uno stato di coscienza come la risultate dell’interazione di diverse variabili: pensieri, emozioni, fisiologia, comportamento, ambiente; ci rendiamo conto che agendo su una o più di queste variabili noi possiamo cambiare uno stato di coscienza e quindi anche la realtà percepita – considerando che la realtà psichica è funzione dello stato di coscienza.

Così è possibile cambiare la mappa del mondo a partire dal comportamento innescando le cosidette "esperienze emozionali correttrici".

Il termine "esperienze emozionali correttrici" è frutto del lavoro pioneristico sulla terapia breve sviluppato da Franz Alexander e il suo collaboratore French ed è descritto nell’opera: Psychoanalytic therapy: principles and applications" del 1946.

Gli autori ritengono inutile un’analisi lunga e laboriosa poiché il paziente sta "soffrendo non tanto per i propri ricordi quanto per la sua incapacità di fronteggiare i problemi reali del momento."

Il fondamento di questa forma di terapia consiste nell’intensità del laovoro in tempi brevi e nella famosa esperienza emozionale correttrice: "questa nuova esperienza correttiva può essere fornita, dalla relazione di transfert, da nuove esperienze di vita, o da entrambe".

Queste esperienze vengono indotte attraverso prescrizioni comportamentali costruite su misura per il cliente (utilizzazione e distrazione dell’emisfero dominante) e tramite una logica isomorfa alla sintomatologia stessa (utilizzando il linguaggio dell’emisfero non dominante).

Troviamo così una serie di ingiunzioni e prescrizioni paradossali del tipo: "Sii spontaneo!".

Se un comportamento sintomatico viene prescritto comincia a perdere la sua qualità spontanea. A questo proposito si racconta in un’antica storiella che una volta una formica chiese ad un millepiedi ‘Mi vuoi dire come fai a camminare così bene con mille piedi insieme, mi spieghi come riesci a controllarli tutti contemporaneamente?’ Il millepiedi cominciò a pensarci su e non riuscì più a muoversi e a camminare.

Tali prescrizioni "devono essere ingiunte in un linguaggio lento e scandito, ripetendo varie volte l’ingiunzione, e presentate al paziente negli ultimi minuti della seduta. È evidente l’analogia con la tecnica dell’induzione alla trance ipnotica.

In effetti, come nell’induzione ipnotica, quanto più il terapeuta riesce a caricare di suggestione la prescrizione, tanto meglio questa sarà eseguita e maggiore sarà la sua efficacia." (Giorgio Nardone, L’arte del cambiamento, Ponte Alle Grazie, p. 98)

I "benefici imbrogli" per quanto semplici possano apparire riescono a scardinare il sistema percettivo e reattivo perché lo attaccano indirettamente su più punti (comportamentale, emotivo ed infine cognitivo). In effetti perché un cambiamento possa essere realizzato in tempi brevi occorre una ristrutturazione non solo cognitiva ma anche e sopratutto emotiva.

L’importanza delle emozioni sembra essere confermata anche dalle ricerche neurologiche.

In passato si credeva che i segnali provenienti dagli organi di senso giungessero alle aree della neocorteccia deputate all’elaborazione delle informazioni, per poi – una volta decodificati e classificati – venir inviati al sistema limbico e produrre una risposta. In realtà le ricerche del neuroscienziato Joseph LeDoux sembrano dimostrare che esistano delle vie neuronali capaci di aggirare la neocorteccia. Tali vie dal talamo raggiungono immediatamente l’amigdala per elicitare delle risposte emotive che non passano il vaglio della elaborazione cognitiva.

C’è da dire che fortunatamente la corteccia e in particolare i lobi frontali hanno – in virtù di una serie di fibre connettive che li collegano all’amigdala – la possibilità di controllare le reazioni emotive disfunzionali, infatti la terapia cognitiva si occupa principalmente di questo. Rimane comunque il fatto che "ci sono molte più connessione dall’amigdala alla corteccia che viceversa. Così, mentre le parti più sofisticate del cervello sono in grado di esercitare un qualche controllo sui loro compatrioti spesso sfrenati, il cervello emotivo ha molte più possibilità di condizionare i centri cerebrali superiori." (Ian H. Robertson, Il cervello plastico, Rizzoli, 1999, p. 227)

Così una esperienza traumatica o una esperienza emozionale correttrice ha un impatto maggiore sulla rete neuronale poiché attiva una porzione più vasta di tessuto nervoso.

Anche la teoria della scuola psicanalitica di San Francisco è in linea con quanto affermato finora. I fondatori Joseph Weiss e Harold Sampson sono giunti alla conclusione che un cambiamento analitico può intervenire anche senza una specifica interpretazione secondo i dettami dell’analisi classica. Per esempio, una particolare esperienza relazionale all’interno della terapia può funzionare come una sorta di ristrutturazione nei confronti delle credenze disfunzionali del cliente.


Stabilità/cambiamento

È la richiesta di piccoli e quasi insignificanti cambiamenti che caratterizza la terapia breve. Al contrario, la richiesta di grandi e definitivi cambiamenti porta la persona a impelagarsi in una terapia a lungo termine (un gioco senza fine).

Secondo il modello cibernetico stabilità e cambiamento, come qualsiasi altra coppia di opposti, si genera a partire da una relazione complementare e ricorsiva poiché ogni cosa esiste assieme al suo opposto.

Se il terapeuta si concentra solo sulla stabilità o solo sul cambiamento rischia di lasciare il sistema invariato orientandosi verso un cambiamento di tipo 1. In natura non esiste l’immobilità assoluta o il cambiamento assoluto. Per esempio un ‘ciclo omeostatico’ è un processo ricorsivo che prevede una continua autocorrezzione: il funambolo mantiene il suo equilibrio (la stabilità) dondolandosi continuamente (il cambiamento):

"Prescrivere il sintomo fissando contemporaneamente un’altra seduta per lavorare sul problema, per esempio, è un modo per richiedere tanto la stabilità quanto il cambiamento.

D’altra parte, è anche possibile proporre ambedue i messaggi a una famiglia che riferisce la scomparsa del sintomo: ossia metterla in guardia contro una ricaduta, offrendo contemporanemente un periodo di vacanza dalla terapia." (Bradford P. Keeney, La Mente nella terapia, Astrolabio, Roma 1986, p.56)

La cosa curiosa è che le tecniche paradossali usate in ipnosi per superare la resistenza del cliente sono particolarmente utili anche per risolvere dei sintomi.

La resistenza in ipnosi presenta analogie con il comportamento sintomatico: la persona dice che non riesce ad andare in trance anche se vorrebbe farlo.

È proprio la natura paradossale del sintomo ("vorrei non farlo eppure sono io a farlo") che ha reso l’ipnosi (con le sue varie mosse controparadossali del tipo "Sii spontaneo" - "Disubbidiscimi") lo strumento di indagine privilegiato e il laboratorio per la creazione di sintomi nevrotici e psicotici "artificiali" e per la loro risoluzione.

Erickson con la terapia strategica trasporta queste tecniche dalla seduta ipnotica all’interazione terapeutica senza induzione formale di trance.

La tecnica molto schematicamente è questa: accettare la resistenza del cliente e incoraggiarla in modo da porla sotto il proprio controllo. A quel punto Erickson introduce dei piccoli cambimenti nel comportamento sintomatico fino al momento in cui non si verifica una trasformazione.

Secondo Haley questo metodo funziona in base a questo principio: "Se si descrive il comportamento sintomatico come una modalità appresa dal paziente per limitare il comportamento degli altri, il fatto che il terapista glielo imponga gli impedisce di utilizzarlo in tal senso." (Jay Haley, Le strategie della psicoterapia, Sansoni, 1974 Firenze, p. 93)

La prima mossa strategica consiste nella connotazione positiva del sintomo (ricalco) che permette l’accesso al sistema e la possibilità di prescrivere il sintomo (guida) poiché non sarebbe possibile prescrivere qualcosa che sino allora era stato criticato (M. Selvini Palazzoli, L. Boscolo, G. Cecchin, G. Prata, Paradosso e controparadosso, Feltrinelli, 1975 Milano, p. 65).

Se il sistema venisse connotato negativamente l’attenzione verrebbe posta prematuramente sul cambiamento con il rischio di resistenza, chiusura o boicattamento nei confronti della terapia.

In effetti, un atteggiamento di questo tipo sarebbe sconsiderato poiché "si traccerebbe una linea arbitraria di demarcazione fra due caratteri ugualmente funzionali in ogni sistema [...] quasi si trattasse di antinomie, laddove la tendenza omeostatica sarebbe di per sé "cattiva" e la capacità di trasformazione di per sé "buona"" (M. Selvini Palazzoli, L. Boscolo, G. Cecchin, G. Prata, Paradosso e controparadosso, Feltrinelli, 1975 Milano, p. 66)

Dalla reciproca interazione di queste due tendenze (Eros e Thanathos) sorge la vita organica. Ogni stabilità prevede una buona quota di trasformazione così come la trasformazione non può prescindere da una certa tendenza omeostatica altrimenti non sarebbe altro che una rivoluzione:
"La loro combinazione si svolge circolarmente secondo un continuum, sostituendo al modello lineare dell’"o/o" quello circolare del "più o meno" (p. 66)
Occorre invece riconoscere al sistema un suo bisogno elementare: la stabilità. Un sistema sollecitato troppo pesantemente e prematuramente rischia di andare in pezzi.
Un cambiamento di tipo 1 è un cambiamento che ragiona per poli di opposti escludentesi.
Così nelle terapie si può verificare l’intervento drastico che vuole il cambiamento a tutti costi anche con l’uso della forza, l’elettroschock, la catarsi, l’internamento o altro oppure si trovano gli interventi che hanno come unico scopo il ristabilimento dell’equilibrio, in altre parole la guarigione consiste nel riportare la calma, la stasi originaria, la restitutio in pristino.
Dal mesmerismo si diramano due culture per la "cura" dell'uomo: la prima si fonda sulla catarsi, e si trasforma in seguito nell'elettroshock, nelle droghe eccitanti e nella musica techno.
L'altra si fonda sul sonnambulismo, si manifesta in seguito con i calmanti, gli psicofarmaci, la musica New Age e le droghe come l'eroina.
Invece che la morte realizzata tutta in un colpo solo (vedi Heaven's Gate, Tempio del Sole, The Family...) ci si può dare la morte lentamente con la droga oppure con la meditazione, anestetizzandoci al dolore e al disagio della civiltà.

Ricapitolando: La prima fase consiste nell’accoglimento della famiglia o del cliente. il cliente sta fuggendo dal dolore poiché il suo equilibrio è minacciato e avverte una grossa distonia. Il terapeuta viene incontro al cliente definendosi non solo un alleato della tendenza omeostatica ma anche colui che la prescrive e che finirà quindi per regolarla introducendo degli elementi che producano un rumore significativo (una differenza che fa una differenza).

Il terapeuta assume il ruolo di regolatore del sistema. Se prendiamo l’esempio di una macchina autocorrettiva come la macchina a vapore notiamo che "Il regolatore è, essenzialmente, un organo di senso o trasduttore che riceve una funzione della differenza tra la velocità effettiva della macchina e una velocità ideale o prestabilita. Quest’organo di senso trasforma queste differenze in differenze contenute in qualche messaggio efferente, diretto ad esempio all’alimentazione di carburante o al freno. Il comportamento del regolatore, in altre parole, è determinato dal comportamento delle altre parti del sistema e, indirettamente, dal suo stesso comportamento precedente." (Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1976, p. 347)

Questo metodo è particolarmente efficace con un soggetto che fa resistenza, perché non c’è nulla a cui resistere. In un certo senso questa procedura è simile a una terapia estremamente non direttiva; il paziente viene in seduta per essere aiutato e il terapista non fa e non dice nulla. Uno dei due deve pur fare qualcosa, così il paziente attua un cambiamento. (Jay Haley, Le strategie della psicoterapia, Sansoni, 1974 Firenze, p. 54) Anche la terapia non direttiva per esempio di Carl Rogers è una modo molto efficace di persuasione – il famoso miroring che viene utilizzato anche in ipnosi: "Per esempio, Milton Erickson una volta invitò un soggetto sul podio da dove egli parlava per una dimostrazione. Quando la donna gli si avvicinò, Erickson non si mosse e la donna entrò in trance. Quando gli chiesero come poteva essere successo, Erickson spiegò:"Era venuta sul podio di fronte a tutta quella gente per essere ipnotizzata e io non facevo e dicevo niente. Chiaramente uno dei due deve fare qualcosa, così lei entrò in trance".

La mossa del mirroring proposta da Carl Rogers si può intendere anche in questo modo: il terapeuta diventa uno strumento di biofeedback per il cliente, se questi vuole una risposta differente deve cominciare a cambiare.

A questo proposito è curiosa la prescrizione paradossale di Erickson ai clienti – in fase diagnostica – di tacere qualcosa: "Molti ritengono che consigliare al paziente di tacere potrebbe incoraggiarlo in tal senso. Ma col paziente psichiatrico non è necessariamente così: se è vero infatti che egli può avere più di un motivo per non dare informazioni sui suoi problemi, ciò che non deve mai essere dimenticato è che una delle ragioni principali del suo silenzio è il vantaggio che gliene deriva nel rapporto col terapista. [...] Questa manovra non risulta più utile se il terapista gli suggerisce proprio quel comportamento. [...] (Jay Haley, Le strategie della psicoterapia, Sansoni, 1974 Firenze pp. 78-79)

L’Hybris simmetrica

I giochi patologici si fondano su una errata epistemologia definita dal Centro per lo studio della famiglia di Milano l’Hybris simmetrica: la presunzione di arrivare, prima o poi, al controllo unilaterale della relazione sino al dominio del sistema. Tale espistemologia lineare non tiene conto della natura circolare della relazione: "Infatti nessuno può avere il controllo lineare in una interazione che di fatto è circolare" (M. Selvini Palazzoli, L. Boscolo, G. Cecchin, G. Prata, Paradosso e controparadosso, Feltrinelli, 1975 Milano, p. 38)

Per il principio dell’interazione non istruttiva, un essere umano, in quanto sistema autopoietico (capace di organizzarsi autonomamente) non può essere controllato unilateralmente dall’esterno.
Per esempio, gli effetti di una terapia ipnotica restano comunque al di fuori del controllo del terapeuta. L’interazione fra due organismi viventi, in questo caso fra ipnotista e ipnotizzato, comporta l’induzione di una perturbazione nel soggetto ipnotico che finisce col rispondere secondo la sua particolare struttura.
Il soggetto ipnotico risponderà positivamente solo a quegli stimoli per lui significativi e integrabili nei cicli che definiscono la sua organizzazione.
Da ciò deriva la particolare importanza delle tecniche di ricalco e guida per garantire l’"accoppiamento strutturale" fra le due parti interagenti.
Se l’induzione è stata efficace è possibile che il sistema vada incontro a una sua ristrutturazione che consente l’emergere di nuove proprietà.

I due partners del gioco, in realtà, per quanto continuino a lamentarsi sono vincolati da una lealtà segreta, essi non vogliono che il gioco finisca: "I due partners [...] sono ugualmente inseparabili, vittime complici di uno stesso gioco, uniti insieme da una stessa paura: non quella di perdere l’altro come persona, ma come partner del gioco" (M. Selvini Palazzoli, L. Boscolo, G. Cecchin, G. Prata, Paradosso e controparadosso, Feltrinelli, 1975 Milano, p. 38)

La persona è affezionata al gioco, se perde il partner farà di tutto per trovarne un altro e alla fine ci riuscirà.

In effetti, "il doppio legame non può essere – per la natura della comunicazione umana – un fenomeno unidirezionale".

Un’ingiunzione paradossale elicita una serie di risposte altrettanto paradossali che gettano anche il "doppio-legatore" in una situazione insostenibile.

Per esempio, colui che si dichiara pazzo e chiede di essere aiutato per poi ogni volta frustrare il soccorritore è a sua volta – malgrado l’apparente condizione di potere e controllo nella relazione – schiavo del gioco, perché diventò pazzo proprio per lealtà estrema al gioco che ora vorrebbe vincere.

Anche la parte che per giungere al controllo della relazione impone delle ingiunzioni paradossali alla fine viene impelagata nella stessa trappola che aveva creato e non riuscirà a districarsene, in quanto riceverà da parte dell’altro giocatore una risposta uguale e contraria, un controparadosso. Per esempio la moglie insiste gridando che il marito deve imparare a essere una persona che si fa valere. Il marito allora comincia a sentirsi depresso e chiede l’aiuto della moglie perché da solo proprio non ce la fa. Poi per ogni consiglio che riceve risponde: che peccato non è ancora abbastanza..., Si... ma.

Oppure prendiamo il caso del genitore che ingiunge al figlio di cambiare spontaneamente; il figlio in risposta a tale comunicazione paradossale comincia con l’apparire assente facendo intendere che non è lì per ricevere le sue critiche perché si trova altrove. Il fatto è che "Le comunicazioni paradossali tendono a ""legare" tutti coloro che vi partecipano" (Camillo Loriedo, Angelo Picardi, Dalla teoria generale dei sistemi alla teoria dell’attaccamento, Franco Angeli, Milano 2000, p. 94)

Nelle interazioni di questo tipo si avverte – in virtù dell’hybris simmetrica – una continua e sotterranea ostilità e tesione che viene continuamente disconfermata dalle parti.

La terapia paradossale invita il cliente a lasciare la presa per uscire dal gioco senza fine nel quale si era impelagato. Quando il cliente finirà di ostinarsi a voler giocare e vincere questi giochi patologici (impegnandosi sempre più) e si orienterà verso nuovi orizzonti potrà dirsi guarito.

Il sintomo (la stabilità disfunzionale), era solo la spia di un cambiamento necessario al sistema. Secondo Bradford Keeney è possibile riformulare il sintomo come uno sforzo del sistema verso livelli di autocorrezzione più elevati. (Bradford P. Keeney, L’estetica del cambiamento, Astrolabio, 1985 Roma, p. 179) Il Piano inconscio è arrivare a dimostrare che l’autocontrollo è inefficace e assurdo e il terapeuta si allea con questo piano inconscio volto alla "guarigione".

Il paradosso "Sii spontaneo" insegna al cliente che il controllo non è possibile (determinare volontariamente un sintomo così come tentare di eliminarlo con la forza della volontà) perché il sintomo è come un gatto dentro a un sacco, che più lo tieni dentro e più questo graffia, si divincola e alla fine rompe il sacco ed esce fuori veramente imbestialito.

Pietra miliare di questo approccio è il saggio di Bateson sull’alcolismo ("La cibernetica dell’’io’: una teoria dell’alcolismo")

Secondo Bateson l’intossicazione da alcool non è altro che la spia di un problema epistemologico: l’ubriacatura è un tentativo maldestro (potremmo dire una falsa soluzione) per tentare di cambiare il modo di essere sobrio. Grazie all’alcool l’alcolista cambia momentaneamente la sua epistemologia fondata sul dualismo – quindi sulla simmetria – e le tensioni, le paure possono svanire così come la sua ossessione per il controllo: "Egli si sente nelle vene il calore fisiologico dell’alcool e, in molti casi, sente anche un corrispondente calore psicologico verso gli altri [...] cioè l’alcool gli permette la complementarietà nei rapporti che lo circondano" (Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1976, p. 363)

Secondo la filosofia dell’A.A. (Alcolisti Anonimi) l’alcolizzato che ritiene di potersi controllare e di convivere con la sua patologia non ha ancora toccato il fondo e quindi non è ancora pronto al cambiamento.

Se l’alcolista si presenta ma non vuole ancora ammettere la sua malattia e il suo stato di impotenza viene invitato a continuare pure a bere e a provare a controllarsi. Le numerose sconfitte che seguiranno hanno in realtà un proposito, un Piano inconscio del sistema – volto alla "guarigione" – tramite la dimostrazione che l’autocontrollo è inefficace e assurdo, perché semplicemente non funziona (Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1976, p. 361). Si tratta di una sorta di reductio ad absurdum della epistemologia simmetrica.

Solo a quel punto l’alcolizzato sarà pronto per un mutamento di paradigma che consiste sostanzialmente nell’accettare e fare propri i due principi fondamentali dell’A.A.:

1. Abbiamo ammesso di essere impotenti di fronte all’alcool, che la nostra vita era ingovernabile.

2. Siamo giunti a credere che un Potere più grande di noi potrebbe renderci la salute.

Si tratta dell’ammissione di essere parte di un sistema più ampio che non possiamo controllare.

 

Il sintomo come manovra strategica

L’opera di Haley (Le strategie della psicoterapia, Sansoni, 1974 Firenze) è particolarmente interessante il filone delle terapie brevi perché tratta delle strategie utilizzate dal cliente e dallo psicoterapeuta per manovrarsi reciprocamente e quindi introduce il concetto di terapia strategica. Così facendo posta il focus dell’attenzione: il sintomo non è più una difesa contro un contenuto mentale ma un modo per relazionarsi con una altra persona (p. 34)

"Quale è la struttura di un sintomo indipendentemente dal suo contenuto?"

Secondo Haley un sintomo è caratterizzato da una comunicazione paradossale: "Il paziente fa qualcosa in modo eccessivo, o evita di fare qualcosa, e segnala che non dipende dalla sua volontà perché non può fare altrimenti" (p. 35)

In questa affermazione troviamo una incongruenza tra il livello di contenuto (faccio o non faccio qualcosa) e il livello della metacomunicazione (ma bada, non sono io a farlo!).

Per esempio una moglie che soffre d’ansia, attraverso il suo comportamento definisce la relazione col marito in questi termini: "Prenditi cura di me!"

Impone cioè una ingiunzione paradossale:

1. Dimmi cosa devo fare

2. Ubbidisci al mio ordine

Malgrado la moglie sembri porsi in una posizione passiva è lei che ha impostato la relazione tramite l’ingiunzione paradossale anche se nega di aver il controllo.

Si può quindi giungere a formulare l’ipotesi che "la psicopatologia è un metodo per ottenere il controllo di una relazione" (p. 43)

Attraverso una serie di comunicazioni implicite ed esplicite, verbali e non verbali le parti giungono a una collusione in buona parte inconscia.

Questo accordo segreto fra le parti si perpetua perché garantisce un certo equilibrio del sistema: attraverso il sintomo entrambi posso giungere a una formazione di compromesso.

 

L’ipnotista e il soggetto ipnotico

La domanda che si pone Haley e: "Quali sequenze comunicative tra l’ipnotista e il soggetto producono il comportamento comunicativo tipico di una persona in trance?" (Jay Haley, Le strategie della psicoterapia, Sansoni, 1974 Firenze, p. 57)

Un determinato comportamento (la trance) può essere compreso solo se viene situato nel contesto più ampio nel quale esso si manifesta: il sistema ipnotizzatore-ipnotizzato. A nulla serve porre l’attenzione su un solo polo evidenziando magari i "poteri" dell’ipnotista oppure la suggestionabilità dell’ipnotizzato.

Analizzando la sequenza di questa interazione troviamo che una caratteristica tipica dell’induzione è il passaggio progressivo da richieste di risposte volontarie del tipo: siediti, metti le mani sulle ginocchia, fissa un punto a richieste di risposte involontarie del tipo pesantezza degli occhi, rilassamento, levitazione del braccio mediante ingiunzioni paradossali che si possono riassumere in "Sii spontaneo".

In seguito, la relazione si evolve sino a stabilizzarsi in una interazione di tipo complementare con l’ipnotista che assume il ruolo up.

L’ipnotista usa una serie di strategie per giungere a ciò: a un certo punto per ratificare la trance può sfidare apertamente il soggetto a tentare di fare qualcosa che gli è stato detto che non sarà in grado di fare o tentare di non fare qualcosa che comunque avverrà. (Jay Haley, Le strategie della psicoterapia, Sansoni, 1974 Firenze, p. 58)

Per esempio "Prova ad aprire gli occhi", l’ordine di aprire gli occhi è commentato da un ulteriore messaggio (digitale oppure analogico) trasmesso sullo stesso canale o su uno differente: "tienili chiusi" - "non riuscirai ad aprirli"

Può accadere che a questa "apertura" il cliente risponda con un contromossa ponendosi simmetrico.

L’ipnotista normalmente risponde con una ulteriore ingiunzione paradossale: incoraggia la resistenza: "Resistimi!" - "Disubbidiscimi". In questo modo ridefinisce la resistenza: se il cliente resiste sta obbedendo. Tramite questa abile ristrutturazione la manovra del cliente viene trasformata da simmetrica a complementare.

A partire da queste premesse si può arrivare a definire "l’pnosi come "uno stile particolare di comunicazione".

In altre parole, la costante nella relazione ipnotizzatore-ipnotizzato è lo sforzo da parte dell’ipnotista di definire la relazione come complementare (Jay Haley, Le strategie della psicoterapia, Sansoni, 1974 Firenze, p. 61).

Tale risultato viene realizzato tramite una serie di ingiunzioni paradossali (riassumibili in "Sii spontaneo" e "Disubbidiscimi").

Ricordiamo che: "Quando due persone tentano di controllare il tipo di relazione limitando il comportamento l’uno dell’altro, è evidente che la persona che pone le direttive paradossali "vince". L’altra persona non può definire la relazione ubbidendo agli ordini o rifiutando di ubbidire, perché gli si chiede di fare le due cose contemporaneamente" (Jay Haley, Le strategie della psicoterapia, Sansoni, 1974 Firenze, p. 49)

Il soggetto posto in una "situazione impossibile" è portato anch’esso a rispondere in modo paradossale col comportamento tipico della trance:

L’ipnotista dice "Fà ciò che ti dico, ma non fare ciò che ti dico" e il soggetto risponde: "Faccio ciò che mi dici, ma non sono io a farlo" (Jay Haley, Le strategie della psicoterapia, Sansoni, 1974 Firenze, p. 71)

A un ulteriore analisi della situazione si evince che, a differenza di altre relazioni in cui una parte ordina e l’altra esegue in questo caso l’ipnotista impedisce al soggetto non solo di porsi simmetrico ma anche complementare: se il soggetto risponde prontamente alle suggestioni egli sta manifestando una resistenza velata, a questo punto l’ipnotista chiede al cliente di porsi simmetrico con l’ingiunzione paradossale: "Disubbidiscimi":
"In realtà, il paradosso impedisce sia il comportamento simmetrico che quello complementare. Così come non è possibile rifiutarsi di rispondere a delle istruzioni paradossali (rispondere cioè in un modo simmetrico), non è possibile nemmeno rispondere in modo complementare perché una delle istruzioni è quella di non rispondere" (Jay Haley, Le strategie della psicoterapia, Sansoni, 1974 Firenze, p. 72)

Il paradosso è per sua natura irrisolvibile, tale irrisolvibilità arriva a interrompere l’attività pianificatrice del soggetto che lascia il controllo della relazione nelle mani dell’ipnotista. (Jay Haley, Le strategie della psicoterapia, Sansoni, 1974 Firenze, p. 73)

George Miller, Eugene Galanter, Karl Pribram, nell'opera Piani e struttura del comportamento descrivono l'attività pianificatrice dell'uomo secondo degli schemi d'azione che possono essere scomposti e analizzati a più livelli come il linguaggio:
"Questo tipo di organizzazione del comportamento è senza dubbio più evidente nel comportamento verbale umano. I fonemi individuali sono organizzati in morfemi, i morfemi vengono uniti per formare i sintagmi (phrases), questi in sequenza appropriata formano una frase (sentence), e una stringa di frasi forma l'enunciato (utterance). La completa descrizione dell'enunciato implica tutti questi livelli." (George A. Miller, Eugene Galanter, Karl H. Pribram, Piani e struttura del comportamento Franco Angeli Editore, 1973 Milano, p. 29)

Secondo gli autori l'uomo crea una "organizzazione gerarchica del comportamento" e un Piano è l'equivalente di un programma di un calcolatore capace di determinare una particolare strategia d'azione: "Un Piano è ogni processo gerarchico nell'organismo che può controllare l'ordine in cui deve essere eseguita una serie di operazioni." (Id., Ibid., p. 32)
L'uomo non potrebbe neanche alzarsi dal letto senza piani cioè senza una serie di schemi comportamentali. Infatti i Piani sono inerenti alal conoscenza normativa e pragmatica della vita quotidiana che mi permettono di orientarmi nel mondo attraverso una serie di routines che si sono cristallizzate grazie alla ripetizione. Una volta "cablati" questi schemi di comportamento possono essere riprodotti senza lo sforzo cognitivo originario.
Nell'ipnosi si pone proprio questa questione, come fare in modo che una persona smetta di fare i propri Piani e accetti di eseguire il Piano suggerito dall'ipnotista.
Secondo gli autore in ipnosi avviene qualcosa di simile al sonno profondo: il soggetto elimina il proprio linguaggio interno col quale elabora normalmente i suoi Piani d'azione e a questo subentra la voce dell'ipnotizzatore. E per avvalorare la loro tesi riportano le descrizioni di Weitzenhoffer circa l'incapacità o la difficoltà a parlare dei soggetti in trance profonda (p. 130).
Per far smettere a una persona di elaborare Piani occorre impegnarla su argomenti particolarmente noiosi o insignificanti come la concentrazione continuata su un punto luminoso, oppure si possono dare una serie di istruzioni particolarmente difficili e in contraddizione fra loro per indurre uno stato di confusione. Sovraccaricando il sistema cognitivo, l'ipnotista riesce a interrompere la capacità del soggetto di pianificare adeguatamente e quindi può suggerire una serie di istruzioni che vengono accettate come rimedio allo stato confusionale (p. 125). È curioso il fatto che il Piano sostitutivo deve essere presentato al soggetto come se fosse suo, come se stesse nascendo autonomamente al suo interno; in altre parole non deve essere percepito come una imposizione inculcata dall'operatore (p. 125).

Questi concetti vengono applicati anche nel lavaggio del cervello:
"Il primo passo dovrebbe presumibilmente essere quello di far smettere alla persona di far Piani da solo. Ciò si può realizzare frustrando deliberatamente ogni Piano fatto autonomamente che tenti di eseguire, anche quelli rivolti alle sue funzioni coorporee più personali. L'obiettivo è fargli credere che possono essere eseguiti solo i Piani che originano da chi li tiene prigioniero. Gli si può assegnare il compito di confessare, ma senza dargli la più vaga idea di ciò che deve confessare. Qualunque cosa confessi sarà errata o insufficiente.." (p. 132)

Ricapitolando il tutto:
L’ipnotista dice: "Voglio che lei non muova la mano, deve solo concentrarsi sulle sensazioni che prova" ("non muovere la mano") al contempo nella natura della relazione ("questa è un’ipnosi") è presupposto che presto, quella mano comincerà veramente a muoversi ("muovi quella la mano").

In questa situazione la persona ha tre possibili risposte:

1. Si rifiuta i muovere la mano e si pone simmetrico. A quel punto l’ipnotista ribatte con un’ulteriore paradosso: "disubbidiscimi" ridefinendo la resistenza come una comunicazione complementare.

2. Muove la mano negando di essere lui stesso a muoverla e stupendosi per questo (trance: interruzione dell’attività pianificatrice)

3. Muove la mano commentando esplicitamente o implicitamente che lui stesso la sta muovendo.

A questo punto l’ipnotista gli ricorda al soggetto che in origine gli era stato proibito di muovere volontariamente la mano

Così il procedimento ricomincia da capo sino a quando si otiene il secondo tipo di risposta.

Nella situazione che ho appena descritto sono assolte tutte le condizioni necessarie secondo l'accezione originaria di doppio legame (Gregory Bateson, Don D. Jackson, Jay Haley, John Weakland, Verso una teoria della schizofrenia, 1956.):

1. Due o più persone

2. Esperienza ripetuta

3. Una ingiunzione negativa primaria: "Non fare così o io ti punirò" oppure "Se non fai così io ti punirò"

4. Una seconda ingiunzione secondaria in conflitto con la prima a un livello più astratto: "Essa può essere trasmessa su un canale diverso da quello della prima, come nel caso in cui sia espressa da un atteggiamento o da un gesto, mentre la prima è trasmessa sul canale vocale. Oppure può venire trasmessa sul medesimo canale, ma mediante una diversa codificazione: ad esempio, qualora sia trasmessa sul canale vocale con una codifica del tipo non verbale, come il tono della voce o un’inflessione vocale. O ancora, può essere trasmessa sullo stesso canale e con il medesimo codice, ma tropvarsi a un livello logico differente: ad esempio, può essere trasmessa sul canale vocale tramite il codice verbale, ponendosi però a un livello di linguaggio superiore a quello della prima ingiunzione, in quanto asserisce qualcosa su di essa, ad esempio "non ubbidire ai miei divieti" o "non devi credere che ciò sia una punizione"

5. Un'ingiunzione terziaria negativa che proibisce alla vittima di abbandonare il campo né di metacomunicare.

6. Infine, la serie completa di questi ingredienti non è più necessaria quando la vittima ha imparato a percepire il suo universo in termini di doppio legame. Può essere allora sufficiente una parte qualsiasi di una successione di doppio legame a scatenare l’effetto finale. Infatti nell’ipnosi il soggetto nelle sedute successive diventa sempre più suggestionabile.

 

Psicanalisi e altre terapie non direttive per la presa di coscienza (insight)

Lo studio comparato – a livello di struttura – delle varie forme di psicoterapia spinge Haley a ritenere possibile elaborare un’unica strategia terapeutica generale che tenga conto della dinamica sottesa al cambiamento spontaneo (Jay Haley, Le strategie della psicoterapia, Sansoni, 1974 Firenze, p. 131)

Secondo Haley il cambiamento si realizza quando una persona viene posta in una situazione paradossale per uscire dalla quale è costretta a operare un cambiamento di tipo 2.

In altre parole, alla persona non è data la possibilità di fare ricoso alle vecchie soluzioni almeno secondo le modalità usate sino ad allora (per controllare gli altri). È costretta a elaborare una risposta che non aveva mai dato in precedenza rompendo così il circolo vizioso soluzione/problema.

Tale cambiamento si riverbera sulla mappa cognitiva del cliente producendo il famoso insight.

Nelle forme di terapia paradossali si trova che al sintomo del cliente, il terapeuta risponde con un ulteriore paradosso secondo il principio similia similibus curantur.

Se per esempio analizziamo l’interazione in uno studio di psicanalisi vediamo che il cliente giunge dal terapeuta al fine di ottenere un sollievo e per essere guidato fuori dalla situazione problematica. Scopre ben presto che il terapeuta non può dare consigli è invece lui che deve parlare per quasi tutto l’arco della seduta. E lo deve fare in un modo particolarmente strano: tramite associazioni libere ("Sii spontaneo") che alla fine non si rivelano tali. Non solo, lo psicanalista, a differenza delle persone intorno al paziente, non proibisce al cliente di comportarsi in modo sintomatico, e la resistenza viene prontamente ridefinita come collaborazione (si dice che la resistenza è il motore della cura).

D’altra parte il terapeuta nega continuamente il carattere direttivo dei suoi comportamenti e resta impassibile. Qualsiasi comportamento con cui il cliente cerca di ottenere controllo nella relazione (resistenza, rabbia, critiche, controinterpretazioni, risate o altro) riceverà come risposta l’impassibilità. Nel caso in cui il cliente si rifiuta di parlare o manca all’appuntamento lo psicanalista sottolinea che ciò è dovuto a problemi intrapsichici del cliente e quindi non è ancora guarito dovrà continuare a pagare le sedute.

Si può dire che il terapeuta è in pieno controllo della relazione: stabilisce le regole del trattamento, la sua conclusione, egli è anche colui che può osservare il cliente disteso sul lettino mentre il cliente, al contrario, non ha alcun tipo di feedback se non le interpretazioni sporadiche dello psicanalista, che, proprio in virtù di ciò acquistano maggiore importanza come elementi chiave a cui aggrapparsi per risolvere la propria confusione e distonia.

La "mossa del lettino" "dà al paziente quel genere di sensazione di disorientamento che prova una persona che deve lottare bendata; impossibilitato a vedere quale reazione provocano i suoi "ploys", non sa quando è "one-up" e quando è "one-down"." (p. 267)

Anche l’arma del silenzio e della impassibilità è assai efficace: "È impossibile vincere una lotta con un avversario impotente poiché, anche se si vince, non si vince niente. Tutti i colpi rimangono senza risposta così che tutto quello che si può provare è solo un senso di colpa per aver colpito." (p. 268)

Mentre l’approccio non direttivo è in realtà una sorta di influenza indiretta così che il cliente non possa dire di non essere arrivato da solo all’aquisizione dell’insight: "Dare degli ordini e negare nello stesso tempo di dare degli ordini richiede un particolare modo di parlare. Se io chiedo ad un’altra persona una sigaretta, praticamente gli ordino di darmela; ma se io dico: "Vorrei proprio una sigaretta", non la sto chiedendo e tuttavia l’altro non può rifiutarmela. La sigaretta deve essere "volontariamente" offerta oppure si deve ignorare la mia richiesta. Generalmente il terapista di tipo non direttivo non dice: "Mi parli di più di questa cosa", perché così il paziente può obbedire o rifiutarsi di farlo. Dirà piuttosto: "Mi chiedo perché lei dice questo"; oppure: "Mi sembra che lei senta questo fatto molto intensamente"; oppure ripete con tono interrogativo quello che il paziente ha appena detto." (p. 119)

Lo psicanalista con le interpretazioni arriva a definire per il cliente ciò di cui egli sta realmente parlando. Se il cliente critica direttamente l’analista questi può mantenere il controllo della definizione del cliente dicendo che in realtà sta definendo un’altra relazione (sta per esempio criticando suo padre).

In queste manovre si può rilevare una squalifica di status per cui si fa scivolare l’attenzione dal contenuto del messaggio all’emittente stesso e al suo status inadeguato: "l'argomento in discussione viene spostato dal contenuto all'interlocutore (sia A che B), con l'aggiunta di un riferimento al suo status che viene chiamato in causa; cioè, b implica che a (il messaggio) non è valido o a causa di A (la persona) o a causa di una superiorità di conoscenza, competenza, o altro, di B." (Carlos E. Sluzki, Janet Beavin, Alejandro Tarnnopolsky, Eliseo Veròn, Squalificazione transazionale, 1967, in Carlos E. Sluzki, Donald C. Ransom, Il doppio legame, Astrolabio, Roma 1979, p. 273)

Quando lo psicanalista fa intendere che il paziente stava riferendosi a qualcosa di diverso egli invia una "risposta tangenziale", in altre parole non si risponde all’affermazione del mittente ma cambia argomento o si mette in luce un aspetto incidentale e tangenziale del contenuto del messaggio.

È chiaro che alla fine il cliente preso dalla frustrazione comincerà a utilizzare varie tecniche di manipolazione per riottenere il controllo della relazione, alcune delle quali non utilizzava da anni (fenomeno della regressione).

Ma nessuna di essa sortirà l’effetto voluto.

Se il cliente usa misure estremamente drastiche come per esempio la minaccia di suicidio, il terapeuta potrebbe dire: "Bene, mi dispiacerebbe se si ammazzasse, ma andrei avanti lo stesso con il mio lavoro".

La "guarigione" si realizza solo con una cambiamento di tipo 2 definibile all’interno del sistema come una illuminazione (insight).

Secondo Haley l’interazione fra terapeuta e paziente ricalca per certi versi quella fra discepolo e maestro Zen: "Il maestro Zen intrappola lo studente in una situazione paradossale che è esattamente la stessa situazione che abbiamo indicato, in questo libro, parlando dei vari tipi di psicoterapia.

Lo psicoterapista infatti a) crea un contesto benevolo definito dal fatto che in quel contesto si deve ottenere un cambiamento, b) promette o incoraggia il paziente a mantenere lo stesso comportamento e c) crea una situazione di prova che continuerà per tutto il tempo in cui il paziente non modificherà il suo comportamento." (p. 252)

 

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