Rompere gli schemi
Per rompere gli schemi è particolarmente interessante utilizzare qualcosa di imprevisto capace di distoglie l'interlocutore dalla strategia che ha in corso. Una cosa molto semplice è lavorare a livello della fisiologia interrompendo, per esempio, una postura che lo fa accedere a uno stato negativo.
L'imprevisto
L'imprevisto
consiste nel rompere dei modelli di comportamento consolidati per poi guidare
l'interlocutore verso altri modelli di comportamento. Se qualcuno vi saluta
e dice: "Ciao! Come stai?" provate ad avvicinarvi e dire "Malissimo,
è una cosa spaventosa. Ho paura di morire!". La persona parte
in trance.
Anche
una ristrutturazione azzeccata produce uno stato di confusione:
"Mi voglio uccidere!"
"Dato che ha intenzione di uccidersi, tanto vale che lo faccia bene! Prima
di morire si goda tutto quello che le è stato impedito."
oppure "Non è meraviglioso che lei sia alla ricerca del paradiso in terra?"
I
racconti di Milton
Esempi
di questo approcci sono descritti in alcuni racconti tratti da "La mia
voce ti accompagnerà" (edito dall'Astrolabio, a cura di Sidney Rosen):
Il
bassotto e il pastore tedesco
Una
delle mie studentesse, alta meno di uno e cinquanta, mi chiese se si fosse comportata
bene. Una sera stava portando a passeggio il suo cagnolino, un bassotto.
Un
grosso pastore tedesco venne rumorosamente giù per il vialetto, ringhiando contro
di lei e il cagnolino, dichiarando la propria intenzione di mangiarseli vivi
tutti e due. Lei prese in braccio il cagnolino e caricò il pastore tedesco,
strillandogli contro. Il cagnone fece dietro-front con la coda fra le gambe
e se ne corse subito a casa.
Quando fate qualcosa di inaspettato, costringete gli altri a rivedere il proprio
modo di pensare.
Falli
deragliare
Ieri
mi è giunta una lettera da un ex-studente. Mi diceva: "Avevo in studio
un paziente alquanto paranoide. Tutto quello che voleva era parlare delle sue
idee. Io cercavo di attirare la sua attenzione, ma senza riuscirci. Allora pensai
di utilizzare una cosa inaspettata, così dissi: "No, neanche a me piace
il fegato". Il paziente si fermò, scosse la testa, e disse: "Di solito
a me piace il pollo"; poi cominciò a parlare del suo vero problema.
L'inaspettato può sempre far deragliare dei pensieri che vanno in una certa
direzione, una linea di tendenza di comportamento, e così bisognerebbe utilizzarlo.
Mi ricordo che ai primi anni d'università, e anche alla specializzazione, quando ero interno, ogniqualvolta un professore voleva riprendermi, io me ne uscivo sempre con una domanda idiota e non pertinente, oppure con un'affermazione dello stesso tipo, e li facevo sviare.
Un'estate un professore prese a dire: "Erickson, non mi piace...".
"Neanche a me piace la neve", dissi.
"Che stai dicendo?". Disse lui.
"La neve", dissi io.
"Quale neve?".
"La cosa meravigliosa, che non ci sono due fiocchi di neve uguali".
Io penso che i terapeuti debbano sempre avere pronti, in qualunque momento, dei commenti non pertinenti. Quando un paziente si siede e racconta un intero capitolo di cose non pertinenti, toglietelo da quel binario. Fatelo deragliare con qualche osservazione che non c'entra niente. Per esempio: "Lo so, cosa sta pensando. Anche a me piaccio i treni."
Fogli
in bianco
Una
terapia incisiva può essere fatta in modo molto, molto semplice, anche se il
compito del terapeuta può apparire enorme. Un anno un nuovo preside si insediò
alla facoltà di medicina. Mi chiamò nel suo ufficio e mi disse: "Sono il
nuovo preside di questa facoltà, e ho portato con me un mio protetto. Ora questo
mio protetto è una perla di ragazzo, perché è lo studente più brillante che
io abbia mai incontrato. È molto dotato per la patologia. Capisce la patologia,
e gli interessano i vetrini di patologia, ma odia tutti gli psichiatri. E ha
una lingua molto tagliente. La insulterà in tutti i modi possibili. Coglierà
tutte le occasioni per darle fastidio".
E così il primo giorno mi presentai e dissi alla classe che io non ero come gli altri professori della facoltà. Gli altri professori pensavano che la loro materia fosse la più importante della facoltà. Io ero completamente diverso.
Io non pensavo nessuna sciocchezza del genere. Si dava solo il caso che io sapessi che la mia materia era la più importante di tutte. Ciò fu accolto molto bene dalla classe. E poi dissi: "Per chi è poco interessato alla pischiatria, vi sottopongo un elenco di circa quaranta titoli da leggere. Per chi ha un certo interesse alla psichiatria, presento un elenco di circa cinquanta titoli da leggere. Per chi è decisamente interessato, ecco qua un elenco di circa sesssanta testi che vi consiglio di leggere".
Poi dissi alla classe di scrivere un riassunto di un certo prontuario di psichiatria, e di consegnarmelo il lunedì successivo.
Il lunedì successivo, lo studente che odiava la psichiatria stava in fila con gli altri. Ogni studente presentava il proprio riassunto. Quello studente mi porse un foglio in bianco.
"Senza neanche leggere il tuo riassunto", dissi, "vedo subito che hai fatto due errori: non hai messo la data, e non l'hai firmato. Allora, ripresentalo lunedì prossimo. E ricorda: un buon riassunto è come leggere i vetrini di patologia".
Ottenni uno dei riassunti più competenti che abbia mai avuto in vita mia.
"Come diavolo ha fatto a convertire al cristianesimo quel pagano?", chiese il preside.
Lo avevo preso completamente di sorpresa.
Riverenze
Il primo anno
che passai alla Wayne State Medical School, successero due cose buffe. Nella
mia classe c'era una ragazza che era stata in ritardo a tutte le lezioni del
liceo. Era stata richiamata dagli insegnanti, e aveva sempre promesso con molta
grazia che la volta successiva sarebbe arrivata in orario. E si scusava con
tanta sincerità. Fece tardi a tutte le lezioni al liceo, eppure aveva sempre
ottimi voti. Era così piena di scuse, così piena di credibili promesse.
All'università, a tutte le lezioni fu in ritardo, reguardita per questo da ciascun istruttore e professore. Lei si scusava sempre con grazia e sincerità, e prometteva sempre di fare meglio in futuro, e continuava a fare tardi. [...]
Il mio primo giorno arrivai alle sette e mezza per la lezione delle otto e tutta la classe era lì che aspettava la ritardataria.
Così alle otto tutti in fila entrammo in aula, tutti eccetto Anne.
Su ogni lato dell'aula c'era una piccola corsia di passaggio. C'era un passaggio sul dietro dell'auala, e un altro sul lato ovest. Gli studenti non ascoltavano la mia lezione, ma guardavano tutti verso la porta. Io parlavo, tranquillo, e quando la porta si aprì, molto dolcemente e delicatamente e lentamente, Anne fece il suo ingresso, con venti minuti di ritardo. Tutti gli studenti fecero uno scatto con la testa e guardarono verso di me. Videro il mio segnale per farli alzare e tutti capirono il mio linguaggio.
Per tutto il tempo che Anne impiegò per andare dalla porta opposta al fronte dell'aula, traversando tutta la parte posteriore, poi a metà del lato opposto e sedersi, in un posto della parte centrale, io le feci le riverenze. E tutta la classe, in silenzio, le fece le riverenze lungo tutto il suo tragitto. E alla fine della lezione, ci fu una selvaggia corsa all'uscita. Anne e io fummo gli ultimi a lasciare l'aula. Io presi a parlare del tempo a Detroit, o di argomenti del genere, mentre camminavamo giù per il corridoio, e intanto un usciere le fece una muta riverenza; alcuni studenti dei primi anni vennero nel corridoio e silenziosamente le fecero riverenza; il preside si fece sull'uscio del suo ufficio e, in silenzio, le fece una riverenza. Il suo segretario si fece sull'uscio e le fece una riverenza; per tutta la giornata, la povera Anne venne in silenzio riverita. Il giorno dopo era la prima della classe, e lo fu da allora in poi. Aveva sopportato i rimproveri del preside, i rimproveri di tutti i professori, ma le mute riverenze, quelle non le poteva sopportare.