MEMI

Dawkins narra (nell’opera The Selfish Gene) che, prima dell’avvento della vita sulla terra (3-4 milioni di anni fa) si sviluppò per reazioni chimiche un brodo primordiale, le cui molecole, sotto l’effetto del sole si andarono combinando in molecole sempre più grandi.
A un certo punto si produsse accidentalmente una molecola organica replicante. Questa molecola aveva la capacità di replicarsi e ad ogni replica venivano commessi dei piccoli errori che resero possibile la varietà e quindi l’evoluzione.
Poiché il brodo primordiale non era in grado di alimentare un numero infinito di molecole iniziò la lotta per la sopravvivenza e le molecole svilupparono un involucro protettivo (si formarono le cellule) per proteggersi dalla guerra chimica con le loro rivali.
Col tempo e in virtù del meccanismo della selezione naturale e dell’evoluzione i replicanti andarono creando delle macchine per la sopravvivenza: veri e propri organismi pluricellulari sempre più complessi come le piante e gli animali erbivori e carnivori.

Che fine hanno fatto questi replicanti, miliardi di anni dopo?
“Esse sono in tutti noi, hanno creato noi, corpo e mente, e la loro conservazione è la ragione ultima della nostra esistenza [...] Ora vanno sotto il nome di geni, e noi siamo le loro macchine per la sopravvivenza” (Douglas R. Hofstadter, L’Io della Mente, Adelphi, p. 135)

Come geni si trovano al sicuro dentro di noi nel nucleo di ciascuna delle cellule che compongono il nostro corpo. Un corpo che nell’attimo del concepimento non è altro che una singola cellula dotata di tutte le informazioni necessarie per costruire un essere umano. Questa cellula è capace di dividersi più volte trasmettendo ogni volta una copia dei piani originali.

Il gene è quindi quell’unità fondamentale della selezione naturale che tende a sopravvive e a replicarsi anche per migliaia di anni attraverso un gran numero di macchine per la sopravvivenza.

Dal gene al meme
Se i primi ricettacoli erano semplici macchine passive col passare del tempo la complessità di tali macchine crebbe a dismisura. Arrivati all’uomo si manifesta una qualità emergente definibile come "la coscienza di sé".
Con il linguaggio e la cultura, secondo Dawkins, entra in gioco un nuovo replicante. Tale replicante viene chiamato Meme (da mimema). Esso ha la facoltà di propagarsi da un cervello all’altro e di sopravvivere come idea, produzione culturale o altro anche dopo la morte dell’individuo ospite.

Se i geni sono la base del nostro hardware i memi costituiscono il nostro software.

"le nostre menti sono costituite da hardware genetico e software memetico" (Richard Brodie, Virus della mente, Ecomind, 2000, p. 231)

A sua volta il nostro software memetico potrebbe essere suddiviso in programmazione di basso livello e programmazione ad alto livello di astrazione.

Con questi due termini mi sto riferendo a una terminologia in uso nell'ambiente informatico. Per esempio Assembly è un linguaggio di programmazione vicino al linguaggio macchina (che quindi potremmo considerare di basso livello - vicino al livello hardware) mentre C++ possiamo considerarlo come un linguaggio d'alto livello, cioè con un livello di astrazione maggiore:
"La programmazione in Assembly richiede una riflessione secondo fasi ben precise e la stesura delle istruzioni da eseguire. Per esempio, diciamo che vuoi trovare l'ascensore. Una serie corrispondente di istruzioni in linguaggio d'alto livello potrebbe essere di questo tipo: 'Esci dalla porta, passa davanti alla fontana e lo trovi alla tua sinistra'. L'equivalente in Assembly somiglierebbe a questa sequenza: 'Trova il piede sinistro; trova il piede destro. Metti il piede sinistro davanti al destro. Ora metti il destro davanti al sinistro. Ripeti questa operazione dieci volte. Fermati. Voltati di novanta gradi a destra...' (Hafner Lyon, 1996, p. 104)
Similmente la coscienza opera a livello simbolico e normalmente non si interessa dei livelli operativi "inferiori". Per esempio può specificare un obiettivo in termini generali e astratti come "mi voglio alzare e andare a farmi un caffé" e non è suo compito entrare nelle istruzioni particolareggiate (come contrarre i muscoli etc...).

Allacciarsi le scarpe, guidare la macchina e infiniti altri comportamenti ricorrenti vengono cablati, in altre parole si incarnano nella fisiologia dell'uomo e funzionano come strutture cognitive in larga misura inconsce e automatiche. Qualcosa di simile avviene anche per le nostre convinzioni profonde che strutturano la realtà (memi-distinzione, memi-associazione) e determinano parte del nostro comportamento (memi-strategia).

In PNL si dice che queste strategie hanno raggiunto lo status di TOTE inconscio.

Solo che le convinzioni su di noi, gli altri e il mondo sono programmate con il linguaggio umano, un linguaggio a un livello di astrazione decisamente superiore rispetto a quello fisiologico.

Nella terapia cognitiva si distingue tra convinzioni razionali e convinzioni disfunzionali (quindi memi funzionali e disfunzionali)
Le seconde sono quelle che portano a comportamenti patologici e sono convinzioni che si esprimono in forme linguistiche del tipo:

  • Doverizzazioni: Io devo assolutamente, tu devi, gli altri devono o Insopportabilità e intolleranza: Io non tollero, io non sopporto
  • Giudizi totali su sé stessi e sugli altri (assolutizzazione): Non valgo niente, Sei uno stupido...
  • Catastrofizzazioni: È tremendo, sarebbe terribile o Bisogni assoluti: Bisogna assolutamente, Non si può fare a meno

    Per dirla in breve le doverizzazioni, le assolutizzazioni e le catastrofizzazioni sono dei bachi* nel vostro software.

    *Baco=è un termine mutuato dall'informatica. Nel gergo informatico baco o bug equivale a un errore nel software o hardware che provoca un malfunzionamento.

George A. Miller - Eugene Galanter - Karl H. Pribram nell'opera "Piani e struttura del comportamento" ipotizzavano che il comportamento fosse guidato da una serie di piani o schemi di azione nidificati l'uno dentro l'altro secondo un ordine gerarchico a complessità crescente.
Secondo gli autori un Piano o schema di comportamento è l'equivalente di un programma di un calcolatore che predispone l'individuo a una particolare strategia d'azione:
"Un Piano è ogni processo gerarchico nell'organismo che può controllare l'ordine in cui deve essere eseguita una serie di operazioni." (p. 32)
Le abitudini e abilità acquisite, all'inizio erano dei Piani volontari che, attraverso un superapprendimento si sono automatizzate. Se la coscienza elabora l'informazione sequenzialmente sono necessari - per il suo funzionamento altamente complesso - anche una serie di elaboratori distribuiti parallelamente (sotto/parti dissociate dalla coscienza che in alcuni casi possono entrare in conflitto fra loro).

Una nuova teoria che cerca di unificare psicologia, biologia e scienze cognitive

Ricapitoliamo...
Richard Dawkins nel libro The Selfish Gene propone una teoria neodarwiniana incentrata sui geni — la più piccola porzione di DNA — che rappresenterebbero, così, la parte immortale di ogni essere vivente. I geni utilizzerebbero gli organismi viventi come involucri protettivi e come mezzo per replicarsi all’infinito generazione dopo generazione.
In seguito (sempre in The Selfish Gene) arriva a trasporre questa teoria in ambito mentale, culturale e sociale ipotizzando la comparsa di un nuovo tipo di replicatore che chiama meme, dalla parola greca mìmesis che significa imitazione e che ha una particolare assonanza con il termine gene.
Il meme può essere un concetto, un’idea, una particella d’informazione — infatti come il gene è composto da stringhe di simboli — che aspira a sopravvivere propagandosi per contagio attraverso mezzi non-genetici o psicotecnologie (il linguaggio, la scrittura, i libri, la radio, la TV, Internet, i CD-ROM, la musica, il teatro, il cinema, etc.) da una mente all’altra. Come nel caso dei geni gli esseri umani sarebbero nient’altro che veicoli inconsapevoli. Ogni giorno all’interno delle loro menti si verificherebbe una lotta incessante fra fazioni di memi (memeplessi) avverse. Ma non solo, poiché una delle lotte più importanti si svolgerebbe nello spazio mediatico.

Le psicotecnologie
Se avete fatto caso, prima ho usato uno strano termine, psicotecnologie...
Il termine è stato coniato da Derrick de Kerchove: Scrive De Kerkhove: "Ho coniato il termine 'psico-tecnologia', modellato su quello di 'bio-tecnologia', per definire una tecnologia che emula, estende, o amplifica le funzioni senso-motorie, psicologiche o cognitive della mente [...] In effetti, il telefono, la radio, la televisione, i computer e gli altri media concorrono a creare ambienti che, insieme, stabiliscono ambiti intermedi di elaborazione di informazione. Sono questi gli ambiti delle psicotecnologie."

Le psicotecnologie consentono di immagazzinare e replicare i memi e operano su tempi molto più brevi a differenza del DNA.

Questo tipo di tecnologie vengono chiamate psicotecnologie poiché il software (per esempio la scrittura) è capace di retroagire sull'hardware (il cervello) determinando l'insorgere di nuovi paradigmi cognitivi (quindi nuovi memi) che vanno a influenzare vari aspetti dell'esistenza umana: la scienza, l'arte, la stessa visione del mondo.
Un primo esempio di psicotecnologia è il linguaggio. Il linguaggio predispone l'uomo al ragionamento sequenziale e lineare.
Con la scrittura l'uomo fa un passo successivo: prende possesso del linguaggio. I pensieri, la memoria e la conoscenza vengono rappresentati esternamente su supporti materiali e per questo possono venir manipolati come oggetti.

Derrick de Kerckhove definisce la scrittura come la prima psicotecnologia che ci ha dato una visione differente del mondo, ha comportato: - la costituzione del soggetto individuale nel pieno dei suoi poteri, la riorganizzazione del campo visivo normativo in tre dimensioni; - l'apparizione in più tappe della prospettiva a seconda del progresso nell'alfabetizzazione, la desensorializzazione del linguaggio e l'interiorizzazione psicologica della scrittura sotto forma di pensiero; - le condizioni che permetteranno all'individuo di prendere potere sul linguaggio e di conseguenza sul suo destino. [Derrick, de Kerckhove, La civilizzazione video-cristiana, Feltrinelli, Milano 1995] Scrittura intesa dunque non semplicemente come strumento tecnico ma come principio organizzatrice della mente umana, comportante uno spostamento dall'atto dell'udire a quello del vedere, facendoci così uscire dalla tribalizzazione; "solo quando la lingua smette di essere "musicale" e di soggiacere all'incanto della narrazione, potrà creare parole che esprimano la convinzione che esiste un "io", distaccato dalla tradizione e dalla sua forza ipnotica, [...] capace di distogliere le proprie facoltà mentali dall'apprendimento mnemonico per dirigerle nei canali dell'indagine critica e dell'analisi." [Internet e le muse, Associazione culturale Mimesis, 1997 Milano, p. 348]

Con l'avvento del calcolatore (grazie alle sue capacità di elaborazione) si realizza l'estroflessione cognitiva non solo della memoria a lungo termine (ciò era avvenuto grazie a i libri) ma anche della memoria operativa o a breve termine. Le conoscenze escono dal corpo per diventare oggetti sui quali operare. Con la realtà virtuale si può persino pensare di condividere fisicamente le proprie conoscenze con altri in una realtà parallela.
Mentre con gli schermi del computer - a differenza delle altre interfaccie (come le pareti di roccia, i rotoli di papiro, le pagine del libro) - l'informazione è indipendente dal singolo schermo. Diventa onnipresente: Lo stesso documento può manifestare su qualsiasi schermo connesso alla rete.

Un altro aspetto interessante rispetto al libro sta nell'interattività. Con l'interattività il medium risponde in tempo reale all'input dell'utente. L'addestramento all'interattività con una interfaccia grafica grazie ai videogames inizia anche in età prescolare. Tali giochi non hanno un effetto solo ludico, sono vere e proprie psicotecnologie poiché implicano l'addestramento del sistema nervoso: "Manipolano il corpo e la mente degli utenti in nuove configurazioni, condizionandoli ad un successivo uso professionale di tecnologie computerizzate." (Derrick de Kerckhove, L'intelligenza connettiva, Aurelio De Laurentiis Multimedia, 199 Mi, p. 54)

Infine con il collegamento ipertestuale dei calcolatori in una grande rete mondiale si assiste all'avvento di una "creatura planetaria" che a detta di Giuseppe Longo "si prefigura come un vero e proprio soggetto di conoscenza inedito" (Giuseppe O. Longo, Il nuovo Golem, Editori Laterza, 1998 Bari, p. 115).
Questo grande animale autoreferenziale e autocinetico si è posto completamente fuori dal controllo dell'individuo e forse anche degli Stati e tende al "mantenimento e al rafforzamento delle proprie strutture" (Giuseppe O. Longo, Il nuovo Golem, Editori Laterza, 1998 Bari, p.10). Ha assunto una vita autonoma e si sta sviluppando inesorabilmente e inevitabilmente, con esiti che sono al di fuori della nostra capacità di elaborazione. Egli vive di sé stesso, si auto-riproduce (elabora e sforna informazione), si alimenta di sé stesso come l'Oroboruous , il serpente mitico che si morde la coda.

Evoluzione genetica Vs. evoluzione memetica
L'evoluzione biologica h contribuito a sviluppare un hardware molto particolare, un terreno di coltura di un nuovo replicante: il meme. Secondo Dawkins con la comparsa del meme si apre un capitolo interamente nuovo nell'evoluzione.

A differenza dell’evoluzione genetica, l’evoluzione memetica è molto più veloce: i memi possono passare da genitori a figli come i geni oppure possono diffondersi tra individui come un virus utilizzando le nostre menti e altri supporti come mezzo per replicarsi, inoltre un meme inadeguato viene eliminato senza bisogno di aspettare la morte del suo portatore. Ciò spiegherebbe “il fatto che durante gli ultimi diecimila anni gli uomini fondamentalmente non siano mutati a livello genetico, mentre la loro cultura (l’insieme totale dei memi) abbia subito sviluppi radicali” (Francesco Ianneo, Meme. Genetica e virologia di idee, credenze e mode, Castelvecchi, 1999 Roma, p. 65)

Ma di cosa ha bisogno un meme per potersi replicare efficacemente?
Secondo Ianneo occorre che il meme sia semplice e comprensibile, che sia plausibile, che sia trasmesso fedelmente e riprodotto da medium duraturi e veloci. È altresì importante che sia ridondante: il meme deve essere come un mantra che si ripete costantemente. Occorre inoltre che sia in grado di integrare attraverso sincretismi altri memi con cui è in competizione oppure sia capace di cooperare con altri al fine di costituire un memeplesso possibilmente intollerante verso i memi differenti o meno adattativi (Francesco Ianneo, Meme. Genetica e virologia di idee, credenze e mode, Castelvecchi, 1999 Roma, pp. 83-84).
Inoltre un meme deve attirare la nostra attenzione (vedi anche focalizzazione dell'attenzione nell'ipnosi come primo passo per la creazione di una monoidea e quindi dell'ideoplasia).
In un mondo in cui l'offerta di informazione è enormemente aumentata questo è un fattore cruciale per la sopravvivenza del meme stesso, che nel frattempo "si è fatto furbo". I "buoni memi" (quelli che sopravvivono e si diffondono) fanno spesso leva su alcuni istinti basici fondamentali come: combattere, fuggire, nutrirsi, accoppiarsi (Richard Brodie, Virus della mente, Ecomind, 2000, p. 96).
In altre parole utilizzano gli "hot buttons" o "pulsanti biologici" presenti nel nostro hardware per istallarsi nella nostra mente: "I memi che risultano affascinanti per gli istinti delle persone sono quelli che più facilmente si replicano e si trasmettono attraverso la popolazione" (Richard Brodie, Virus della mente, Ecomind, 2000, p. 46)
Questa è una legge che conoscono bene i "designer virus", coloro cioè che definiscono e progettano a tavolino i virus della mente con cui ci vogliono programmare: " Nella nostra ricerca per i virus della mente, allora, i primi aspetti da individuare saranno proprio quelle situazioni che cliccano uno o più di questi quattro pulsanti: rabbia, paura, fame e lussuria, che attirano la nostra preziosa attenzione [...]" (Richard Brodie, Virus della mente, Ecomind, 2000, p. 101)

Una cosa dovrebbe essere ben chiara a questo punto. I memi non si evolvono per essere di beneficio agli individui, anche se molti memi lo possono essere.

Un meme ben radicato nella sinapsi dell’individuo ospite guiderà il suo comportamento inducendo una fiducia cieca nella sua validità. Ciò comporta quindi un ordine implicito di diffusione. Si riscontra inoltre come a volte un meme possa essere di tipo simbiotico (capace di promuovere un comportamento adattativo per sé e per l’individuo che lo ospita) mentre altre volte funziona come un parassita e sopravvive a spese dell’organismo come i memi settari (p. 71).
A volte questi memi sono particolarmente aggressivi come alcune fedi politiche o religiose. Le persone che ne sono preda ne sembrano interamente controllate e perdono lo scopo della loro esistenza in loro mancanza.

I suicidi collettivi ai quali partecipa anche il santone sono il chiaro esempio di come il meme detenga il potere e non chi lo "ha creato".

Memetica
Ci sono particolari tecniche che si sono evolute nel tempo e che consentono ai memi di riprodursi efficacemente e sono per esempio l’arte retorica, l'ipnosi, la teoria della persuasione oppure la coercizione e l’inganno.
Richard Brodie descrive, oltre alla tecnica del condizionamento classico e operante, anche la dissonanza cognitiva e i cavalli di troia.

La dissonanza cognitiva, fa leva sulla pressione mentale, il pathos, il disagio per istallare un nuovo meme: "Imponendo alle persone il superamento di prove rituali, analogamente a quanto avviene ai fini dell'accesso a una casta chiusa, accade una di queste due cose: o l'iniziato si ritira per non sopportare la sofferenza, o un meme che rappresenta il valore dell'appartenenza all'organizzazione si crea o si rinforza nella mente dell'iniziato" (Richard Brodie, Virus della mente, Ecomind, 2000, p. 225)
Per rafforzare questo effetto si può far leva sugli istinti biologici fondamentali come la paura o la fame di potere e creare quello stato particolare di impasse definibile come "manette dorate", descrivibile anche con la seguente frase: "ti do la libertà totale e il potere in cambio della schiavitù perenne, ma ricorda se te ne vai perderai tutto e cadrai in disgrazia"

L'altra tecnica descritta da Brodie si chiama Cavallo di Troia: "Il metodo di programmazione detto "Cavallo di Troia" opera inducendovi a fare attenzione ad un solo meme, introducendo poi, di nascosto insieme al primo, un intero pacchetto di altri memi. [...] un Cavallo di Troia può servirsi dei vostri pulsanti istintuali, cliccandoli per ottenere la vostra attenzione e insinuandosi poi in un altra zona. [...] Perché il sesso vende? Perché pigia i vostri pulsanti, attira la vostra attenzione e, agendo come un cavallo di Troia, vi condiziona con gli ulteriori memi impacchettati all'interno dello spot pubblicitario [...] La tecnica più semplice per confezionare pacchetti, quella usata più frequentemente da politici e avvocati, consiste semplicemente nel dichiarare i memi uno dopo l'altro, in un ordine decrescente di credibilità. La credibilità delle prime affermazioni sembra essere d'aiuto per quelle successive sprovviste di fondamento. [...] I memi discutibili posti alla fine del pacchetto si introducono nella vostra mente servendosi del cavallo di Troia costituito dai memi incontrovertibili posti all'inizio dell'argomentazione." (Richard Brodie, Virus della mente, Ecomind, 2000, pp. 157-158)

Un precursore della memetica è Gustav Le Bon con la sua Psicologia delle folle del 1895 (p. 157)Scrive Le bon: “In una folla ogni sentimento, ogni atto, sono contagiosi, a tal punto che l’individuo sacrifica facilmente il suo interesse personale all’interesse collettivo [...] Quando un’affermazione è stata ripetuta unanimemente per un numero sufficiente di volte, come accade per certe imprese finanziarie che acquistano tutti i consensi, si forma ciò che vien chiamato una corrente d’opinione ed interviene il possente meccanismo del contagio. Nelle folle, le idee, i sentimenti, le emozioni, le credenze divengono contagiose non meno dei microbi.”Lo scritto di Gustave Le Bon influenzò anche Hitler che riconobbe nella propaganda l’arma strategica per vincere la guerra: “Il ruolo di sbarramento che svolge l’artigleria nella preparazione dell’attacco della fanteria in futuro sarà assunto dalla propaganda rivoluzionaria. Si tratta di spezzare psicologicamente il nemico prima che le truppe comincino ad entrare in azione.”  (Adolf Hitler, Mein Kampf)

Guerra memetica
È più importante uccidere un uomo oppure le sue idee?
L’arma più potente nel Terzo Millennio sarà la memetica.
Siamo in piena Terza guerra mondiale e non ce ne siamo ancora accorti, ogni giorno noi siamo costantemente sotto il fuoco dei media.
Le tecniche di disinformazione, persuasione e suggestione sono molteplici. Per esempio i media grazie alla loro ridondanza precisano ciò di cui si dovrebbe parlare, dirigono l’attenzione del cittadino e in tal modo istituiscono dei trend. Questa tecnica si chiama agenda-setting.
Il modo in cui sono presentate le notizie funziona come un effetto placebo: Noi acquistiamo il giornale e cominciamo col vedere i titoli di prima pagina, la priorità loro accordata e in virtù di questo inganno deduciamo la loro importanza rispetto alle altre notizie che meritano minore attenzioneper non parlare delle notizie mai pubblicate che a volte potrebbero essere le più importanti.
L’effetto placebo consiste nel ritenere le notizie di prima pagina le notizie del giorno (Fabrizio Benedetti, La realtà incantata, Zelig Editore, 2000 Milano, p. 71).
I passaggi sono esattamente gli stessi del placebo classico: inganno- convinzione - effetto.
Se alla stessa persona avessimo fatto leggere le notizie in ordine sparso su dei fogli con carattere uniforme costui avrebbe sicuramente cambiato la priorità degli avvenimenti e si sarebbe accorto di alcuni avvenimenti che erano passati inosservati.
Ciò vuol dire che “per modificare la nostra visione del mondo, basta modificare la forma logica con cui il mondo viene descritto attraverso i media” (Bruno Ballardini, Manuale di disinformazione, Castelvecchi, 1995 Milano, p.16)

Prendiamo i sondaggi. Sappiamo tutti ormai che i sondaggi sono creati a tavolino per ottenere un certo feedback, basta orientare il parere degli intervistati con domande formulate ad arte.

Le domande servono per contagiare la persona con memi che passano inosservati sotto forma di presupposizioni.

Una volta che il sondaggio ha dato il risultato desiderato può essere pubblicizzato e diffuso ampiamente come il risultato autorevole di una seria ricerca di mercato. Il sondaggio non è più un parere ma una rappresentazione oggettiva di cosa la gente pensa. Non si tratta qui di convincere la gente dicendo che cosa dovresti pensare ma si da la vittoria già per scontata. In tal modo il sondaggio funziona come una profezia che si autodetermina, serve a creare opinione piuttosto che misurarla (Bruno Ballardini, Manuale di disinformazione, Castelvecchi, 1995 Milano, p. 41-42).

Un esempio di profezia che si autodetermina grazie all’intervento dei media:

“quando nel marzo 1979 i giornali californiani cominciarono a pubblicare servizi sensazionali su un’imminente e drastica riduzione nell’erogazione di benzina, gli automobilisti diedero l’assalto alle pompe per riempire i loro serbatoi e tenerli possibilmente semrpe pieni. Fare il pieno di 12 milioni di serbatoi (che fino a quel momento erano mediamente solo a un quarto del livello) esaurì le enormi riserve disponibili, provocando praticamente da un giorno all’altro la scarsità predetta. (Paul Watzlawick, La realtà inventata, Feltrinelli, Milano 1994, p. 87)

Ma che dire di Internet e in particolare dell’interattività. L’interattività venduta come potere e scelta maggiore a un esame più attento si rivela una interpassività.
Ciò che viene venduto come interattività è la possibilità concessa all’utente di schiacciare un infinito numero di tasti che permetteranno l’accesso ad altri documenti secondo un percorso solo in apparenza libero, insomma, qualcosa di molto simile a un topo che viene fatto correre in un labirinto.

Nell’opera Scienza del comportamento umano (1957), Burrhus F. Skinner, fa una distinzione fra comportamento operante, ovvero il comportamento che opera sull’ambiente producendo delle conseguenze e quello rispondente, che risponde passivamente allo stimolo, il cui esempio tipico è il cane di Pavlov.
Per dimostrare il comportamento operante ideò una gabbia (detta Skinner-box) al cui interno venne posto un topo. Nella gabbia c’era una levetta, che, una volta premuta, procurava del cibo al topo. A differenza dell’esperimento di Pavlov, il rinforzo, cioè l’evento che concorre all’apprendimento non è dato esternamente da una persona, ma è dato dall’azione del soggetto. Il topo ha il cibo solo se preme l’apposita levetta, pertanto lo stimolo non è incondizionato come per il comportamento rispondente, ma è condizionato dalla risposta del topo.
[Giovanni, Reale, e Dario, Antiseri, Il pensiero occidentale dalla origini a oggi,  op. cit., 676-677]

Nel 1948 Skinner aveva pubblicato Walden Two, dove viene descritta una società ideale governata in base alle teorie comportamentistiche di stimolo/risposta. La manipolazione del comportamento creerebbe una vita ideale, un’utopia non solo buona ma anche realizzabile...

In effetti tutta la scienza del condizionamento consiste nell'istallazione di memi attraverso la ripetizione.
Il condizionamento operante grazie al rinforzo autoindotto installa non solo memi associazione ma anche strategie di comportamento del tipo Se....allora.

Il fenomeno detto "apprendimento hebbiano" (dallo psicologo canadese Donal Hebb) spiega questi fenomeni. In pratica succede che, quando dei neuroni vengono attivati più volte contemporaneamente si associano e "le cellule e le loro sinapsi cambiano chimicamente in modo tale che, quando una ora s'attiva, sarà molto più efficace nell'attivare l'altra. In altre parole, i neuroni entrano in società in modo tale da eccitarsi in coppia con maggior rapidità rispetto a prima." (Ian H. Robertson, Il cervello plastico, Rizzoli, p. 17).

Nel caso di esperienze emotive piuttosto forti la struttura di connessioni che si viene a creare rimane particolarmente radicata nel cervello (questo fenomeno è detto imprinting).

Molte campagne di marketing funzionano proprio secondo questi principi: "il manifesto pubblicitario che vedete mentre vi recate al lavoro raffigura una splendida modella alla guida di una macchina che sfreccia attraverso una foresta in fiamme in un'esotica località tropicale; queste immagini attivano i neuroni nei centri emotivi del vostro cervello. Nello stesso istante i neuroni dei centri del linguaggio e di quelli visivi registrano il marchio e il nome della casa costruttrice. Tombola! Due gruppi di neuroni in zone distinte del cervello sono attivati contemporaneamente. Passate davanti a quel manifesto ogni mattino per alcune settimane, magari vi capita di vedere immagini simili la sera in televisione, e vi troverete con un complesso di neuroni interconnessi, legati tra loro, per il semplice fatto che sono stati attivati all'unisono. Il risultato? Che quando vedrete la stessa macchina nella vetrina di un concessionario, questo farà riemergere un qualche frammento dell'emozione provata inizialmente - o, almeno, questa è la speranza del gruppo responsabile del marketing!" (Ian H. Robertson, Il cervello plastico, pp. 21-22)

Il medium memetico
L’ambiente culturale costituito da memi che tendono a propagarsi e a replicarsi diventa il nuovo habitat o nicchia ecologica nella quale la specie umana coevolve: "Viviamo, pertanto, all’interno di una Matrice, la matrice dei memi, quella che Wittgenstein chiamava una «forma di vita» e che il filosofo statunitense Hilary Putnam ha definito più icasticamente una vasca dove sono immersi i cervelli.” ( (Francesco Ianneo, Meme. Genetica e virologia di idee, credenze e mode, Castelvecchi, 1999 Roma, p. 134)

Gli schemi comportamentali e cognitivi che edefiniscono la realtà consensuale sono culturalmente appresi. Il bambino impara attraverso l’esperienza, tramite l’interazione con l’ambiente in cui si situa interpretando la realtà secondo uno schema di riferimento condiviso.
Il senso del Sé è frutto dell’interazione sociale e la mente emerge all’interno di un contesto tramite uno strumento offerto dalla collettività: il linguaggio. Non esiste un Io archetipo e originario preesistente alla realtà sociale poiché il Sé emerge dall’interazione con l’Altro, il non-Sé. Per esempio “Bruner sostiene che il concetto di sé che ciascuno di noi possiede non è un’essenza né un nucleo di coscienza isolato, racchiuso nella mente individuale, ma il risultato continuamente emergente della negoziazione incessante tra le nostre versioni del Sé e le versioni del nostro Sé che gli altri ci forniscono.” (Francesca Emiliani, Bruna Zani, Elementi di psicologia sociale, Il Mulino, 1998 Bologna, p. 89)

Esiste anche un ben precisa influenza dei fattori culturali sulla organizzazione cerebrale. La percezione dei colori, il linguaggio, la scrittura sono fenomeni non programmati dai geni. Il contesto sociale e quindi il medium memetico è responsabile della variazione nella percezione dei colori da cultura a cultura: "L'uomo percepisce una gamma di lunghezze d'onda grazie a varie strutture, la retina e il corpo genicolato laterale, le quali sono presenti anche in altre specie animali, come il gatto o la scimmia. Tuttavia nell'uomo le lunghezze d'onda vengono categorizzate secondo delle denominazioni specifiche. Esse vengono apprese nel bambino dopo l'acquisizine del linguaggio [...] Quando si denomina una certa lunghezza d'onda ("questo è rosso", "questo è giallo", ecc.) si è stabilita, tra le strutture implicate nella decodificazione dell'informazione "lunghezza d'onda" e quelle implicate nelle funzioni linguistiche, una nuova interazine funzionale che precedentemente non era già implicita." (Luciano Mecacci, Identikit del cervello, Laterza, 1995, p. 160)

Gli studi sull'organizzazione funzionale del cervello giapponese hanno dato risultati sorprendenti. A quanto pare la specializzazione emisferica nei giapponesi non corrisponde a quella che di regola si riscontra negli occidentali.
L'emisfero sinistro (preposto alla elaborazione del linguaggio) nei giapponesi compie un'analisi verbale anche di suoni come il vento, le onde, etc. e ciò è dovuto alla grande importanza delle vocali nella loro lingua.
Si è inoltre riscontrato che i vari disturbi del linguaggio nei giapponesi derivano da lesioni in aree cerebrali diverse da quelle degli occidentali. Ciò è dovuto alla struttura della lingua giapponese. La scrittura giapponese è costituita da caratteri ideografici (Kanji) e caratteri alfabetici (Kana). Per il riconoscimento degli ideogrammi si attiva in particolare l'emisfero destro mentre per il riconoscimento dei caratteri alfabetici l'emisfero maggiormente implicato è quello sinistro. Così può accadere che un giapponese colpito da lesione all'emisfero sinistro può continuare a leggere e a scrivere a differenza di un occidentale - per lo meno i Kanji.
La cosa importante da considerare è che tali caratteristiche sono culturalmente determinate: "Rispetto a uno stimolo come una figura geometrica o un suono puro il cervello dei giapponesi non ha una organizzazione diversa dal cervello degli occidentali. Quando però interagisce con il mondo di stimoli della propria cultura (la musica, i tipi di scrittura, ecc.), allora il cervello mette in atto una specifica dinamica funzionale." (Luciano Mecacci, Identikit del cervello, Laterza, 1995, p. 46) Insomma i memi, in virtù della stretta relazione corpo/mente guidano anche l'evoluzione genetica...

Tutto ciò è affine alla proposta teorica del movimento del costruzionismo sociale nato tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘80.
Per i costruzionisti la conoscenza non è costruita individualmente ma è frutto di una costruzione condivisa per mezzo di pratiche di tipo conversazionale. È tramite la comunicazione, la negoziazione, la retorica, il linguaggio, l’interazione sociale che la realtà viene costruita e condivisa: “la conoscenza non è qualcosa che le persone possiedono da qualche parte nelle loro teste, ma piuttosto è qualcosa che fanno insieme.” (Oltre il cognitivismo, Franco Angeli, p. 94)
Troviamo quindi una chiara influenza della visione olistica della mente proposta da Bateson, una mente intesa come proprietà immanente nel più ampio sistema uomo più ambiente. Troviamo anche un’eco della filosofia analitica, in particolare il secondo Wittgenstein (Ricerche filosofiche). In quest’opera Wittgenstein sostiene che ogni forma di linguaggio sia anche una forma di gioco linguistico con le sue particolari regole d’uso. E in quanto artefatto sociale è il risultato di un’impresa attiva e congiunta di persone in relazione. I significati perciò vengono creati e negoziati all’interno di una particolare comunità.

L'inconscio non è soltanto qualcosa di atavico o il deposito degli istinti animaleschi ma è un fatto culturare, i sintomi sono culturalmente determinati. L'inconscio non è neanche qualcosa che sta nel cervello. A questo proposito Jung parlava di un inconscio collettivo. Mentre Jacques Lacan diceva che l'inconscio è strutturato come un linguaggio e che il linguaggio è la condizione dell'inconscio.

L’uomo concorre a creare queste narrazione anche se il più delle volte ne è raccontato. Pensiamo ai fenomeni di culto come le Nike, l’Harley Davidson, la Ferrari, Che Guevara, lo Swatch, Star Treck, la New Age e molti altri fenomeni più o meno duraturi. Un artefatto di questo tipo richiama altro da sé stesso. Si trasforma in una merce/simbolo, una merce/racconto, diventa una vera e propria iper-merce che può garantire l’appartenenza a una tribù (merce/badge) e l’acquisizione di una identità (merce/identità) (La fabbrica del cult. Merci da amare (e comprare), a cura di Fulvio Carmagnola, Ricerca e Sviluppo Mediaset, LINK Ricerca, 1999 Milano, p. 16)
Il cult acquisisce un sovraccarico valoriale (un valore aggiunto di tipo simbolico) attraverso un percorso analogico metonimico e metaforico che lo aggangia a miti e narrazioni preesistenti nella società. In quanto “rappresentante simbolico privilegiato” acquisisce il potere di richiamare un mondo mitico (p. 34) Sono quindi le connotazioni simboliche che creano quell’alone di seduttività e fascinazione da cui viene rivestito il prodotto.
Questo addensamento connotativo comporta secondo Maura Ferraresi una surrinterpretazione (si comincia a pensare che il culto voglia dire più di quello che dice) e quindi una vera e propria deriva semiotica (pp. 44-45).
“I giochi surrinterpretativi surriscaldano un oggetto, un libro, per farlo diventare altro, lasciando all’oggetto il ruolo di gancio sul quale si appendono la fantasia, i bisogni, le speranze o le disperazioni del soggetto che lo investe di un discorso. [...] Ma il vero lavoro di trasformazione non sarà dell’oggetto, che svolge in questo caso solamente la funzione di esca. Sarà il lavoro semiotico a produrre questa radicale trasformazione.” (p. 52)
Quando il prodotto è diventato un simbolo, quando è stato per così dire, caricato energeticamente è in grado di focalizzare e colpire l’attenzione e allora ne veniamo come catturati e il culto potrà impiantarsi nelle nostre menti e replicarsi:
“Se proviamo a circoscrivere l’ambito di esperienza che ci conduce a diventare adepti di un culto, dobbiamo ammettere che la scelta avviene perché qualche cosa ci ha colpito e ci ha quasi costretto a dedicargli la nostra totale attenzione. Da dove viene tale sorgenza di attenzione? L’ipotesi immediata è: dalla concreta presenza, fisica e determinata dell’oggetto.
Senonché, questo oggetto a noi appare sotto forma di discorso, o comunque avvolto da discorsi e quindi “semanticamente” già lavorato”. (p. 54)
I fenomeni più drammatici sono chiaramente le infezioni memetiche ideologiche e religiose che possono arrivare addirittura a sfociare in suicidi di massa come fu il caso del Tempio del Popolo, del Tempio Solare e di Heaven’s Gate.

Il termine infezioni memetiche ci riaggancia all’ultima definizione (in ordine di tempo) che Dawkins da del meme: nel saggio Viruses of the mind (1993) il meme viene descritto come un virus capace di propagarsi di mente in mente. Questa apparente incongruenza fra il modello darwiniano-replicativo (meme=gene) e il modello epidemiologico (meme=virus) è soltanto apparente secondo Dawkins poiché le due ipotesi si possono integrare: “I memi viaggiano longitudinalmente attraverso le generazioni, ma viaggiano anche orizzontalmente, come i virus in un’epidemia” (R. Dawkins, Unweaving the Raimbow. Science, Delusion and the Appetite for Wonder, London, Penguin, 1998, p. IX)

 

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