Il paradosso

Il paradosso ha una caratteristica peculiare: si tratta di un’affermazione che pone l’interlocutore in una posizione di indecidibilità, in quanto il paradosso per sua natura è irrisolvibile.

Un esempio famoso è il paradosso del mentitore attribuito ad Epimenide (filosofo greco del VI secolo a.C.) riassumibile sotto la forma "Io sto mentendo" oppure "questo enunciato è falso". Tale affermazione non è dimostrabile, non posso cioè stabilirne né la verità né la falsità: chi parla sta dicendo il vero solamente se sta mentendo e sta mentendo soltanto se dice la verità.

Tale dilemma nasce dall’ambiguità e complessità del linguaggio. L’affermazione risulta paradossale per almeno due motivi poiché è autoreferenziale e poiché sono implicati due livelli logici: il cosiddetto linguaggio oggetto — per mezzo del quale vengono fatte delle asserzioni sulla realtà di prim’ordine — e il metalinguaggio che è un’asserzione sul linguaggio oggetto — realtà di second’ordine.

In assenza di qualificatori come le virgolette si crea una confusione fra livelli logici che presentano affermazioni in contraddizione fra loro. Il metalivello viene a confondersi con il livello oggetto e si crea una sorta di cortocircuito: due livelli gerchici di complessità crescente collassano uno sull’altro dando vita al fenomeno dello strano anello: "ovvero l’imprevisto ritrovarsi al punto di partenza salendo o scendendo lungo i gradini di un sistema gerarchico" (Camillo Loriedo, Angelo Picardi, Dalla teoria generale dei sistemi alla teoria dell’attaccamento, Franco Angeli, Milano 2000, p. 81).

Se cerchiamo di risolvere uno "strano anello" veniamo presi in una catena riflessiva, cioè in una oscillazione infinita tra i due termini contraddittori che, come in un gioco di specchi rimando uno all’altro determinando il fenomeno della indecidibilità.

Il paradosso non è soltanto logico o semantico come quello del mentitore ma è anche pragmatico. Nella vita di ogni giorno si verificano fenomeni di questo tipo. Un paradosso di per sé non è dannoso ma in alcuni casi può avere un effetto patogeno come è il caso del doppio legame. Il doppio legame è una situazione di indecidibilità nella vita di relazione che determina un effetto pragmatico.

Per doppio legame si intende "una situazione (1) in cui una persona è posta di fronte a messaggi contraddittori, (2) la cui natura non è immediatamente evidente perché celata o negata, o perché i messaggi sono di livelli diversi, e (3) in cui non si può neppure scappare, né osservare e commentare efficacemente le contraddizioni" (Weakland e Jackson, 1958)

La teoria del "doppio legame" è stato usata dall'antropologo Bateson e dal gruppo di Palo Alto per spiegare in parte l'eziologia della schizofrenia studiando i paradossi dell'astrazione nella comunicazione. In altre parole, piuttosto che dare grande rilevanza al presunto trauma venne ipotizzato e poi studiato il contesto comunicativo e i modelli di interazione ripetitivi all'interno del nucleo familiare. La schizofrenia potrebbe derivare dall'effetto della continua esposizione a doppi legami sin dalla tenera età e dalla conseguente incapacità di discriminazione fra tipi logici.

Questa "abitudine mentale" sarebbe dunque il risultato dei contesti di apprendimento nei primi anni della vita del bambino.

Facciamo un esempio chirificatore: Una madre comunica a parole il proprio amore per il figlio mentre a livello analogico (non-verbale) trasmette alcuni segnali di rifiuto, ansia, paura. A quel punto il bambino potrebbe riconoscere il messaggio di rifiuto, ma tale interpretazione lo porterebbe a pensare qualcosa di profondamente doloroso: "mia madre è cattiva", "mia madre non mi vuole bene". Poiché il bambino dipende per la propria sopravvivenza dal sostegno fisico e psichico dei propri genitori non può far altro che accettare ciò che la madre asserisce e ritenere di essere lui il "cattivo" per aver avvertito questa incongruenza e per aver dubitato dell'amore della propria madre. Ma anche se avesse preso per buone le manifestazioni d’affetto della madre, il figlio avrebbe comunque "perso", poiché ella si sarebbe tirata indietro. E se in seguito il figlio si fosse ritratto a sua volta — per rispettare la risposta della madre — avrebbe ricevuto una punizione del tipo "Ma come, non mi vuoi più bene?". Se invece avesse cercato di commentare la situazione sarebbe stato squalificato con risposte del tipo "non è assolutamente vero..." oppure "come puoi pensare cose così brutte sulla tua mamma".

Come rende esplicito questo esempio, non è sufficiente — per porre l’interlocutore in una situazione di doppio legame — la sola incongruenza tra i messaggi. La semplice presenza di ambiguità o contraddizione non dà luogo a un paradosso poiché occorre che ci sia un vero e proprio legame di esclusività e assolutezza fra le parti e una impossibilità a risolvere la situazione (indecidibilità). Nel doppio legame patogeno comunque si risponda si "perde":

"Un giovane che si era rimesso abbastanza bene da un episodio acuto di schizofrenia ricevette in ospedale la visita della madre. Era contento di vederla e istintivamente le passò il braccio intorno alle spalle, al che la madre si irrigidì. Egli ritirò il braccio e la madre allora gli chiese: "Non mi vuoi più bene?". Il ragazzo arrossì, ed ella disse: "Caro, non devi imbarazzarti così facilmente e aver paura dei tuoi sentimenti." Il paziente riuscì a stare con lei solo pochi minuti ancora e, dopo che se ne fu andata aggredì un infermiere e fu quindi sottoposto a una doccia fredda." (Gregory Bateson, Don D. Jackson, Jay Haley, John Weakland, Verso una teoria della schizofrenia, 1967, in Carlos E. Sluzki, Donald C. Ransom, Il doppio legame, Astrolabio, Roma 1979,p. 34)

Un altro esempio tipico di doppio legame è il cambiamento che una parte cerca di indurre sull’altra con frasi del tipo "Devi cambiare" a cui segue una serie di ingiunzioni a livelli differenti (come per esempio una serie di regole condivise a livello di collusione inconscia) secondo le quali sarebbe terribile se si cambiasse ("non cambiare"). Se poi il cambiamento ha effettivamente luogo la parte in causa viene punita oppure squlificata ("non sei cambiato per niente, eri molto meglio prima").

Le condizioni necessarie sono:

1. Due o più persone

2. Esperienza ripetuta

3. Una ingiunzione negativa primaria: "Non fare così o io ti punirò" oppure "Se non fai così io ti punirò"

4. Una seconda ingiunzione secondaria in conflitto con la prima a un livello più astratto e rinforzata, come la prima, da punizioni e da segnali che minacciano la sopravvivenza: "Non considerare questo come una punizione" - "non dubitare del mio amore" etc...

5. Un'ingiunzione terziaria negativa che proibisce alla vittima di abbandonare il campo: "Non lasciarmi, altrimenti sei dannato"

6. Infine, la serie completa di questi ingredienti non è più necessaria quando la vittima ha imparato a percepire il suo universo in termini di doppio legame. Può essere allora sufficiente una parte qualsiasi di una successione di doppio legame a scatenare panico o rabbia.

(Gregory Bateson, Don D. Jackson, Jay Haley, John Weakland, Verso una teoria della schizofrenia, 1956.)

Per quanto riguarda il punto 5. ricordo che "se la situazione di doppio legame si determina tra adulti, non è tanto l’emittente ad impedire al ricevente di sottrarsi agli effetti patogeni della comunicazione tramite l’ingiunzione negativa terziaria, quanto piuttosto è il ricevente stesso ad attribuire alla comunicazione un valore assoluto, interpretando il messaggio in forma totalizzante" (Camillo Loriedo, Angelo Picardi, Dalla teoria generale dei sistemi alla teoria dell’attaccamento, Franco Angeli, Milano 2000, p. 99)

L’ingiunzione resta paradossale sono fino a che si ritiene assolutamente necessario risolverla decidendo se è vera o falsa.

Ma fortunatamente esistono anche dei doppi legami terapeutici dove non c’è alternativa alla vittoria.

Il paradosso

Il paradosso ha una caratteristica peculiare: si tratta di un’affermazione che pone l’interlocutore in una posizione di indecidibilità, in quanto il paradosso per sua natura è irrisolvibile.

Un esempio famoso è il paradosso del mentitore attribuito ad Epimenide (filosofo greco del VI secolo a.C.) riassumibile sotto la forma "Io sto mentendo" oppure "questo enunciato è falso". Tale affermazione non è dimostrabile, non posso cioè stabilirne né la verità né la falsità: chi parla sta dicendo il vero solamente se sta mentendo e sta mentendo soltanto se dice la verità.

Tale dilemma nasce dall’ambiguità e complessità del linguaggio. L’affermazione risulta paradossale per almeno due motivi poiché è autoreferenziale e poiché sono implicati due livelli logici: il cosiddetto linguaggio oggetto — per mezzo del quale vengono fatte delle asserzioni sulla realtà di prim’ordine — e il metalinguaggio che è un’asserzione sul linguaggio oggetto — realtà di second’ordine.

In assenza di qualificatori come le virgolette si crea una confusione fra livelli logici che presentano affermazioni in contraddizione fra loro. Il metalivello viene a confondersi con il livello oggetto e si crea una sorta di cortocircuito: due livelli gerchici di complessità crescente collassano uno sull’altro dando vita al fenomeno dello strano anello: "ovvero l’imprevisto ritrovarsi al punto di partenza salendo o scendendo lungo i gradini di un sistema gerarchico" (Camillo Loriedo, Angelo Picardi, Dalla teoria generale dei sistemi alla teoria dell’attaccamento, Franco Angeli, Milano 2000, p. 81).

Se cerchiamo di risolvere uno "strano anello" veniamo presi in una catena riflessiva, cioè in una oscillazione infinita tra i due termini contraddittori che, come in un gioco di specchi rimando uno all’altro determinando il fenomeno della indecidibilità.

Il paradosso non è soltanto logico o semantico come quello del mentitore ma è anche pragmatico. Nella vita di ogni giorno si verificano fenomeni di questo tipo. Un paradosso di per sé non è dannoso ma in alcuni casi può avere un effetto patogeno come è il caso del doppio legame. Il doppio legame è una situazione di indecidibilità nella vita di relazione che determina un effetto pragmatico.

Per doppio legame si intende "una situazione (1) in cui una persona è posta di fronte a messaggi contraddittori, (2) la cui natura non è immediatamente evidente perché celata o negata, o perché i messaggi sono di livelli diversi, e (3) in cui non si può neppure scappare, né osservare e commentare efficacemente le contraddizioni" (Weakland e Jackson, 1958)

La teoria del "doppio legame" è stato usata dall'antropologo Bateson e dal gruppo di Palo Alto per spiegare in parte l'eziologia della schizofrenia studiando i paradossi dell'astrazione nella comunicazione. In altre parole, piuttosto che dare grande rilevanza al presunto trauma venne ipotizzato e poi studiato il contesto comunicativo e i modelli di interazione ripetitivi all'interno del nucleo familiare. La schizofrenia potrebbe derivare dall'effetto della continua esposizione a doppi legami sin dalla tenera età e dalla conseguente incapacità di discriminazione fra tipi logici.

Questa "abitudine mentale" sarebbe dunque il risultato dei contesti di apprendimento nei primi anni della vita del bambino.

Facciamo un esempio chirificatore: Una madre comunica a parole il proprio amore per il figlio mentre a livello analogico (non-verbale) trasmette alcuni segnali di rifiuto, ansia, paura. A quel punto il bambino potrebbe riconoscere il messaggio di rifiuto, ma tale interpretazione lo porterebbe a pensare qualcosa di profondamente doloroso: "mia madre è cattiva", "mia madre non mi vuole bene". Poiché il bambino dipende per la propria sopravvivenza dal sostegno fisico e psichico dei propri genitori non può far altro che accettare ciò che la madre asserisce e ritenere di essere lui il "cattivo" per aver avvertito questa incongruenza e per aver dubitato dell'amore della propria madre. Ma anche se avesse preso per buone le manifestazioni d’affetto della madre, il figlio avrebbe comunque "perso", poiché ella si sarebbe tirata indietro. E se in seguito il figlio si fosse ritratto a sua volta — per rispettare la risposta della madre — avrebbe ricevuto una punizione del tipo "Ma come, non mi vuoi più bene?". Se invece avesse cercato di commentare la situazione sarebbe stato squalificato con risposte del tipo "non è assolutamente vero..." oppure "come puoi pensare cose così brutte sulla tua mamma".

Come rende esplicito questo esempio, non è sufficiente — per porre l’interlocutore in una situazione di doppio legame — la sola incongruenza tra i messaggi. La semplice presenza di ambiguità o contraddizione non dà luogo a un paradosso poiché occorre che ci sia un vero e proprio legame di esclusività e assolutezza fra le parti e una impossibilità a risolvere la situazione (indecidibilità). Nel doppio legame patogeno comunque si risponda si "perde":

"Un giovane che si era rimesso abbastanza bene da un episodio acuto di schizofrenia ricevette in ospedale la visita della madre. Era contento di vederla e istintivamente le passò il braccio intorno alle spalle, al che la madre si irrigidì. Egli ritirò il braccio e la madre allora gli chiese: "Non mi vuoi più bene?". Il ragazzo arrossì, ed ella disse: "Caro, non devi imbarazzarti così facilmente e aver paura dei tuoi sentimenti." Il paziente riuscì a stare con lei solo pochi minuti ancora e, dopo che se ne fu andata aggredì un infermiere e fu quindi sottoposto a una doccia fredda." (Gregory Bateson, Don D. Jackson, Jay Haley, John Weakland, Verso una teoria della schizofrenia, 1967, in Carlos E. Sluzki, Donald C. Ransom, Il doppio legame, Astrolabio, Roma 1979,p. 34)

Un altro esempio tipico di doppio legame è il cambiamento che una parte cerca di indurre sull’altra con frasi del tipo "Devi cambiare" a cui segue una serie di ingiunzioni a livelli differenti (come per esempio una serie di regole condivise a livello di collusione inconscia) secondo le quali sarebbe terribile se si cambiasse ("non cambiare"). Se poi il cambiamento ha effettivamente luogo la parte in causa viene punita oppure squlificata ("non sei cambiato per niente, eri molto meglio prima").

Le condizioni necessarie sono:

1. Due o più persone

2. Esperienza ripetuta

3. Una ingiunzione negativa primaria: "Non fare così o io ti punirò" oppure "Se non fai così io ti punirò"

4. Una seconda ingiunzione secondaria in conflitto con la prima a un livello più astratto e rinforzata, come la prima, da punizioni e da segnali che minacciano la sopravvivenza: "Non considerare questo come una punizione" - "non dubitare del mio amore" etc...

5. Un'ingiunzione terziaria negativa che proibisce alla vittima di abbandonare il campo: "Non lasciarmi, altrimenti sei dannato"

6. Infine, la serie completa di questi ingredienti non è più necessaria quando la vittima ha imparato a percepire il suo universo in termini di doppio legame. Può essere allora sufficiente una parte qualsiasi di una successione di doppio legame a scatenare panico o rabbia.

(Gregory Bateson, Don D. Jackson, Jay Haley, John Weakland, Verso una teoria della schizofrenia, 1956.)

Per quanto riguarda il punto 5. ricordo che "se la situazione di doppio legame si determina tra adulti, non è tanto l’emittente ad impedire al ricevente di sottrarsi agli effetti patogeni della comunicazione tramite l’ingiunzione negativa terziaria, quanto piuttosto è il ricevente stesso ad attribuire alla comunicazione un valore assoluto, interpretando il messaggio in forma totalizzante" (Camillo Loriedo, Angelo Picardi, Dalla teoria generale dei sistemi alla teoria dell’attaccamento, Franco Angeli, Milano 2000, p. 99)

L’ingiunzione resta paradossale sono fino a che si ritiene assolutamente necessario risolverla decidendo se è vera o falsa.

Ma fortunatamente esistono anche dei doppi legami terapeutici dove non c’è alternativa alla vittoria.

 

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