Le
armi della persuasione Robert Cialdini — psicologo sociale americano — nel suo libro "Le armi della persuasione" distingue le tattiche persuasive in sei categorie base: 1. Reciprocità La particolare efficacia di tale tattiche sta nel far leva su alcuni principi psicologici fondamentali che orientano e motivano il comportamento umano. In altre parole si utilizza ciò che già c’è cioè alcuni piani di comportamento che orientano l’uomo nel momento in cui deve prendere una decisione. Cialdini paragona queste tecniche all’arte marziale del jujiztu che sfrutta la forza fisica dell’aggressore per poi rivoltargliela contro. Ognuna di queste tattiche sollecita l’interlocutore ad adottare l’euristica corrispondente. Si ritiene quindi che spesso nel prendere una decisione il potenziale acquirente "si farebbe guidare, non da un’analisi approfondita delle informazioni rilevanti nella situazione, bensì da poche indicazioni (una o due al massimo) che provengono dallo stimolo e che sollecitano l’euristica corrispondente a un particolare principio." (Angelica Mucchi Faina, L’influenza sociale, Il Mulino, 1996 Bologna, p. 150) Entriamo ora nel merito della questione e descriviamo le varie tattiche una per una e i principi motivazionali a cui fanno ricorso.
Regola del contraccambio o reciprocità (Debito) Cialdini ricorda, sulla scia di sociologi come Alvin Gouldner che tale regola è comune a tutti i tipi di società umane e la sua può annoverare tra gli schemi comportamentali istintivi della razza umana. In genere l’uomo sente il bisogno o si sente letteralmente obbligato a contraccambiare favori veri o presunti tali. Ciò è comprensibile, poiché il sistema di reciprocità ha regolato da tempi immemorabili lo scambio e la collaborazione tra individui. Questa legge del comportamento umano può essere utilizzata a fini tutt’altro che morali quando un interlocutore intende farci sentire in debito imponendoci un favore non richiesto. Mi sembra perciò il caso di fare un esempio articolato che intende chiamare in causa contemporaneamente varie tecniche — che preciserò tra parentesi. Dall'altronde è difficile che una tattica persuasiva si presenti per così dire al suo stato "puro". Esempio: Un Hare Krishna o per esempio l'appartenente a una comunità di tossici può porgervi un dono (piede nella porta), se voi abboccate e prendete in mano l'oggetto non lo rivuole più indietro e vi fa intendere che si tratta di un regalo (Debito) in cambio del quale richiede un'offerta (colpo basso) affidandosi al buon cuore del passante. Con il termine offerta o donazione si ridefinisce (ristrutturazione) la transazione (la vendita) come un atto di liberalità (donazione). Il questuante elicita un imperativo morale e fa leva sul presunto debito — in realtà mai richiesto né sollecitato — per richiedere "legittimamente" un corrispettivo in virtù del buon cuore del passante. Il passante può finire col dare una somma più grossa del valore effettivo del bene — che magari non interessa. Sarebbe avvenuta ben altra cosa se il passante fosse stato fermato da un venditore che gli chiedeva l'acquisto di collanine a un prezzo spropositato. È propria la ricorniciatura dell'evento in corso come atto di liberalità che permette di vendere ad alto prezzo qualcosa che non interessa: "c'è una forte pressione sociale a contraccambiare i doni, anche non desiderati, mentre non esiste nessuna pressione del genere ad acquistare un prodotto commerciale che non si desidera" (Robert Cialdini, Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì, Firenze, Giunti/Barbera, 1989, p. 38) Se questa pressione non è abbastanza potente si può sempre lavorare con altre tattiche, per esempio, si può far leva sul senso di colpa. Il venditore ridefinisce la risposta negativa del cliente definendolo un ingrato: "Ma cosa è un essere senza cuore, non vede che sto male! se fosse lei in questa situazione". Si può anche dire: "Guardi quanti hanno contribuito, non vorrà mica dimostrare di essere un ingrato!" (riprova sociale-principio di imitazione) Quest'ultima ristrutturazione avrà maggiore successo se va contro ciò che l'individuo ritiene di essere — se per esempio la gratitudine è uno dei suoi valori (principio di coerenza con se stesso). In campo commerciale la regola del contraccambio, come spiega Cialdini, la ritroviamo nell'offerta di una campione gratuito (cibo, profumo o altro) da parte di una gentile commessa. Un altra tecnica simile è il soddisfatto o rimborsato o i periodi di prova gratuita. Anche nella terapia strategica si può far leva sul Debito. È una tecnica che può essere annoverata fra le tattiche di influenza interpersonale dirette. Guglielmo Gulotta la spiega in questo modo: "Descrivere il suggerimento allo psicoterapeuta come un "corrispettivo" per un precedente "favore" fatto al paziente (Guglielmo Gulotta, Lo psicoterapeuta stratega, Franco Angeli, 1997 Milano, p. 185) Nella stessa pagina fa un piccolo esempio: "Lei non ha eseguito il compito che avevamo concordato nella scorsa seduta. Per questa volta ci passerò sopra, però nei prossimi giorni dovrà.... e si assegna un altro compito." Questa tecnica può essere predisposta preventivamente dal terapeuta che non si aspettava che il cliente facesse il primo compito. In questo caso la tattica si trasforma nella tecnica indiretta (perché la prestazione desiderata non è palese sin dall'inizio) della "Porta in faccia" che opera per principio di contrasto inculcando al contempo l'idea che è stata fatta una concessione da parte del terapeuta.
Principio di contrasto C'è un esperimento molto semplice che chiarisce perfettamente questo principio. Prendiamo tre bacinelle d'acqua. A partire da sinistra la prima è ghiacciata, la seconda tiepida e la terza è bollente. Inmergiamo ora la mano sinistra nella prima e la destra nella terza, dopo un attimo caliamole tutte e due nella bacinella di mezzo. Malgrado l'"oggettiva" tiepidezza dell’acqua, la mano sinistra avvertirà l'acqua calda, mentre per la destra sarà fredda. Anche i nostri giudizi sono influenzati dal contesto. Un abile persuasore crea un contesto a lui favorevole, nulla viene lasciato al caso. Potrà farvi apparire migliore una alternativa un venditore tramite l’uso di esche. Anthony Pratkanis e Elliot Aronson nel libro "Psicologia delle comunicazioni di massa" ne danno un esempio: "Dopo aver determinato le vostre esigenze, l’agente vi accompagna in auto a vedere alcune case "che potrebbero interessarvi". La prima fermata è in un minuscolo bicamere con un piccolo cortile. La casa necessita di una mano di vernice; gli interni sono rovinati; il linoleum della cucina si sta gonfiando; il tappeto del soggiorno è liso; la camera da letto padronale è tanto piccola che non ci entrerebbe nemmeno l’arredamento medio di una stanza da letto. Quando l’agente immobiliare vi informa del prezzo di vendita esclamate: "Santo cielo! Chi sarebbe tanto stupido da pagare una cifra del genere per questa baracca?". Forse non voi, e forse nessun altro. Ma quella catapecchia può spingervi ad acquistare più prontamente un’altra casa e a un prezzo molto più alto di quello che normalmente sareste disposti a pagare." (Anthony Pratkanis, Elliot Aronson, Psicologia delle comunicazioni di massa, Il Mulino, 1996 Bologna, p. 81) Come si può applicare in altri modi questa semplice legge fisiologica per manipolare la percezione cognitiva? Per esempio, avanzando una richiesta gravosa e dopo aver ottenuto il rifiuto, avanzare la richiesta minore, quella effettivamente desiderata (Guglielmo Gulotta, Lo psicoterapeuta stratega, Franco Angeli, 1997 Milano, p. 188) È ciò che succede anche in ipnosi quando il terapeuta offre un'alternativa peggiore sotto forma di doppio legame — del tipo "Preferisce andare in trance ora o più tardi". Questa tecnica è chiamata tecnica della "Porta in faccia" che rientra a buon diritto tra le tecniche che fanno uso del principio di contraccambio poiché danno l’illusione al vostro interlocutore che gli abbiate appena fatto una concessione. Simpatia In ipnosi e in PNL si parla di rapport. Con questo termine si intende l'istaurarsi di una particolare sintonia con il proprio interlocutore. Due persone che si stimano o che si vogliono bene sono già naturalmente in uno stato di profondo rapport tra di loro. Non so se avete mai osservato attentamente due amici, se lo avete fatto avrete forse notato che oltre ad intendersi alla meraviglia sul piano verbale o di contenuto sono in sintonia anche sul piano non verbale: camminano in modo simile oppure assumono le stesse posture, oppure si grattano nello stesso identico momento, in altre parole, si rispecchiano istintivamente l'un l'altro e maggiore è il feeling e maggiore è il rispecchiamento. Consci di questo particolare meccanismo i terapeuti, i comunicatori, i venditori ne fanno un uso consapevole per istaurare immediatamente un rapporto di fiducia ed entrare in breve tempo in sintonia con l'interlocutore. Questa tecnica è chiamata ricalco e può realizzarsi a diversi livelli: • ricalco verbale : uso di alcune frasi che usa l'interlocutore o alcuni predicati che fanno riferimento allo stesso sistema rappresentazionale (visivo, uditivo, cenestesico) oppure ricalco di convinzioni, valori e credenze • ricalco paraverbale: ricalco del volume, del tono, del ritmo, della velocità, delle pause • ricalco non verbale: ricalco le posture, la gestualità, il respiro fino ai micro-comportamenti (mimica facciale, movimenti degli occhi, tensione muscolare). L'istaurazione di un legame empatico risiede probabilmente nella stimolazione del sistema parasimpatico a motivo di una sottile sincronizzazione che viene percepita a livello inconscio. In tal modo l'interlocutore non si sente in pericolo e gli pare di essere veramente compreso e ascoltato. A livello inconscio ciò che ci somiglia ci è familiare e ciò che ci è familiare ci tranquillizza, facendoci abbassare le difese. Questo principio può essere usato negli interrogatori quando si fa il "gioco delle parti" nel quale un individuo si mostra particolarmente aggressivo mentre l’altro (che in realtà è d’accordo con il primo) appare decisamente amichevole. È anche il caso del venditore che si mette dalla parte del cliente e fa finta di convincere il principale a concedere una "favoloso sconto". Impegno e coerenza Una volta che abbiamo preso una decisione o quando abbiamo compiuto qualcosa sentiamo il bisogno di comportarci coerentemente con l'immagine che abbiamo dato di noi stessi. Il principio di coerenza è particolarmente rilevante per l'insorgere del fenomeno denominato "dissonanza cognitiva". In altre parole, il bisogno di coerenza con noi stessi ci spinge ad allineare le nostre convinzioni e percezioni con ciò che ormai abbiamo fatto. Per non dover fare dei passi indietro, alcune volte, per non dover riconoscere di avere avuto torto sfoderiamo tutte le migliori armi retoriche per convincere noi stessi e gli altri che valeva la pena farlo. Questi processi sono stati ben studiati dalla psicologia cognitiva che ha individuato le "tecniche" con cui riusciamo a ingannare noi stessi; ne cito solo due: 1. Astrazione selettiva. Comporta una sorta di cancellazione di parti dell'esperienza per focalizzare l'attenzione su ciò che sembra confermare il nostro modello del mondo. 2. Inferenza arbitraria Si tratta di una conclusione totalmente arbitraria, un presupposto, un postulato che viene dato per scontato e che può servire a mantenere la coerenza con se stessi eliminando in tal modo il disagio. Ad ogni modo il principio di coerenza e di impegno ha anche una utilità "storica", poiché garantisce che, una volta presa una decisione non dobbiamo continuare a pensarci su e possiamo procedere oltre. In genere quando si parla di impegno e coerenza si fa riferimento alle tattiche che, partendo da un controllo sottile del comportamento altrui, arrivano sino a cambiare gli atteggiamenti facendo leva sul processo di autopersuasione che normalmente si verifica quando cerchiamo di spiegare a noi stessi i comportamenti che "liberamente" scegliamo di adottare. Il procedimento opera per gradi: il venditore cercherà di farci dire o fare qualcosa di apparentemente innocuo e poco impegnativo per legare logicamente tale comportamento a tutta un'altra serie di richieste una più gravosa dell'altra. È comunque essenziale al fine della persuasione, che il soggetto creda di essere arrivato a una libera scelta. Ora per continuare in una descrizione dettagliata del principio di coerenza è necessario dividere le richieste — rispetto al soggetto persuaso — in due categorie: 1. Il soggetto viene persuaso a compiere un atto contro-attitudinale 2. Il soggetto viene persuaso a compiere un comportamento non-problematico. Nel primo caso si ha un'attivazione emotiva (arousal) che motiva il soggetto a ridurre lo stato di dissonanza ristabilendo la coerenza e quindi l'equilibrio del sistema (è ciò di cui parla Festinger con il termine dissonanza cognitiva). A questo riguardo un esperimento fu quello di Festinger e Carlsmith (1959) presentato nell'articolo Cognitive consequences of forced complicance (pubblicato nel Journal of Abnormal and Social Psychology). Festinger e Carlsmith chiesero a un individuo per volta di prestarsi a un esperimento particolarmente noioso; finito l'esercizio noioso chiedevano al volontario di sostituire l'assistente di ricerca e far intendere al soggetto successivo (in realtà un complice degli sperimentatori) che l'esperimento appena svolto era particolarmente divertente, in cambio davano una ricompensa molto bassa (1 dollaro) oppure 20 dollari. Finita anche questa seconda fase dell'esperimento chiedevano al soggetto che cosa ne pensasse veramente. Sorprendentemente (poiché tale risultato andava contro la teoria comportamentistica) erano proprio coloro che avevano ricevuto un solo dollaro a minimizzare la noiosità dell'esperimento (Nicoletta Cavazza, La persuasione, Il Mulino, 1996 Bologna, pp. 131-132) Festinger e Carlsmith spiegarono tale risultato in base alla teoria della dissonanza cognitiva: coloro che avevano ricevuto 20 dollari potevano pensare fra sé e sé "ho ingannato il prossimo solo in cambio di un compenso". Coloro che avevano ricevuto un compenso insignificante invece non avevano questo alibi, si trovarono quindi con una conflittualità interna che chiedeva di essere risolta. L'unico modo era quello di modificare il proprio atteggiamento spiegando a se stessi che in fondo non era un compito così noioso: "Il processo in questione secondo Cooper e Fazio (A new look at dissonance theory, in L. Berkowitz (a cura di), Advances in experimental social psychology, vol. XVII, New York, Academic Press, 1984) avverrebbe secondo i seguenti passaggi: il soggetto mette in atto un comportamento contro-attitudinale, stabilisce quali conseguenze ha avuto; se ci sono conseguenze indesiderabili stabilisce a chi o a che cosa può essere imputata la responsabilità; se si sente personalmente responsabile emerge l'attivazione emotiva (arousal); se lo stato emotivo attivato è negativo, egli cerca di capire a che cosa è dovuto; se lo attribuisce alla propria responsabilità per le conseguenze indesiderate (e non a fattori esterni) emerge la motivazione al cambiamento dell'atteggiamento relativo; quindi il cambiamento vero e proprio si verifica." (Nicoletta Cavazza, La persuasione, Il Mulino, 1996 Bologna, pp. 134-135) Il secondo caso invece è quando il soggetto viene persuaso a compiere un comportamento non-problematico. Quando il comportamento richiesto non viola nessun principio o valore della persona non dovremmo aspettarci uno stato di dissonanza cognitiva, appare quindi più adatta la teoria dell'autopercezione di Daryl Bem: una persona che ha compiuto senza costrizioni un comportamento inferisce da tale comportamento un'immagine di sé a cui si ritiene vincolato secondo il principio di coerenza. L'individuo perciò, dopo un primo innocuo impegno può essere portato ad aderire a tutta una serie di richieste comportamentali coerenti con l'immagine di sé. Un esempio particolarmente interessante viene descritto da Cialdini (Robert Cialdini, Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì, Firenze, Giunti/Barbera, 1989, pp. 67-68) ed è tratto dall'esperimento compiuto dagli psicologi Jonathan Freedman e Scott Fraser (pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology, 1966) Il ricercatore si presentava presso i proprietari di un sobborgo elegante della California dicendo di essere un volontario per la "Campagna per la sicurezza delle strade" e chiedeva se potevano cortesemente istallare nel loro giardino un grande cartello con scritto "Guidate con prudenza". Questa offerta piuttosto gravosa veniva rifiutata dalla maggior parte degli abitanti della zona (83%) ma straordinariamente accettata dal 76% di coloro che poco prima (2 settimane) avevano ricevuto la visita di un altro incaricato e avevano accettato di compiere un gesto apparentemente innocuo e poco costoso: l'esposizione di un piccolo adesivo con scritto "Guida sicura". Una tecnica che può essere abbinata con notevoli successi al "Piede nella porta" è il "Colpo basso". Il colpo basso per così dire "puro" consiste in una sola richiesta comportamentale nella quale si dissimulano i "costi" reali che vengono resi espliciti quando il soggetto non può più tirarsi indietro. Cialdini racconta che aveva appreso questa tecnica presso un concessionario di macchine (Robert Cialdini, Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì, Firenze, Giunti/Barbera, 1989, pp. 85-86) Al cliente veniva proposto un'offerta speciale, lo si coinvolgeva il più possibile lasciandogli la macchina in prova per un giorno e lo si invitava a compilare tutta una serie di moduli. Alla fine della trafila saltava fuori la sorpresa (ecco il colpo basso!): per esempio l'offerta era scaduta qualche giorno prima oppure c'era stato un errore di calcolo o ci si era dimenticati di precisare che l'offerta prevedeva l'obbligo all'acquisto di una serie di optionals particolarmente costosi. A quel punto il venditore si scusava e sottolineava la libertà del cliente di recedere dal contratto. Un buon numero di clienti finiva con l'acquistare la macchina malgrado la motivazione iniziale all'acquisto (la convenienza) fosse ormai inesistente. Cialdini spiega l'efficacia di tale tecnica: "Sembra incredibile che il cliente accetti di comperare l'auto a queste condizioni, eppure la cosa funziona, non con tutti ma abbastanza spesso da essere usata sistematicamente da molti rivenditori, che hanno capito bene come una scelta iniziale si costruisca da sola il suo sistema di sostegno, munito di tutta una serie di giustificazioni nuove." (Robert Cialdini, Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì, Firenze, Giunti/Barbera, 1989, p. 86)
Riprova sociale Questo principio può essere definito sinteticamente a partire dalle parole di Cialdini: "quanto maggiore è il numero di persone che trova giusta una qualunque idea, tanto più giusta è quell'idea." (p. 104) Ne parlava anche Gustave Le Bon nel suo Psicologia delle folle (1895) libro di riferimento per Mussolini. Secondo Le Bon le idee, i sentimenti e le emozioni hanno un potere contagioso nella folla poiché l'uomo è imitatore per natura e nella folla resta in preda alla eccitazione reciproca. Questo principio è particolarmente potente nelle situazioni particolarmente nuove e sconcertanti, dove, per intenderci c'è un notevole margine di dubbio: la persona si trova confusa e non sa che fare, in mancanza di un modello comportamentale già pronto, un metodo facile e istintivo consiste nell'imitazione del comportamento altrui. È evidente che in una situazione di shock e confusione viene a crearsi un fenomeno circolare tipico di un sistema cibernetico che trasforma un aggregato umano in un sistema ricorsivo autoriverberante. Un esempio: C'è un uomo disteso per terra, sorge un dubbio: costui ha avuto un malore oppure è un ubriaco che dorme? La reazione istintiva dell'uomo confuso che si trova in una folla è quella di guardarsi intorno e uniformarsi al comportamento delle altre persone che paradossalmente stanno facendo con noncuranza altrettanto: A guarda B che non fa niente imitando C che sta pensando sul da farsi e guarda A. Questo fenomeno è stato definito dagli psicologi John Darley e Bibb Latané come "ignoranza collettiva". Nella folla tra l'altro è come se la responsabilità si diluisse. Siamo tutti responsabili e quindi nessuno è responsabile in particolare. L'effetto imitazione lo si ritrova anche nelle epidemie di suicidi dopo che i media hanno cominciato a farne pubblicità. Mi sto riferendo al cosiddetto "effetto Werther" che deve il suo nome all'ondata di suicidi che si estese per tutta l'Europa dopo la pubblicazione del romanzo "I dolori del giovane Werther" in cui il personaggio principale, Werther, si suicida. In questo caso l'effetto di imitazione si da solo per le persone che si identificano con il suicida: "il principio di riprova sociale agisce con la massima efficacia quando osserviamo il comportamento di persone come noi. È la condotta di queste persone che ci chiarisce meglio quale sia il comportamento giusto anche per noi." (Robert Cialdini, Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì, Firenze, Giunti/Barbera, 1989, p. 113) Questo principio lo possiamo estendere a maggior ragione anche ai gruppi settari nel caso in cui si verificano dei suicidi collettivi. Spiega Cialdini rispetto alla setta del Reverendo Jim Jones: "ognuno osservava il comportamento degli altri e, vedendo intorno a sé una calma apparente, perché ciascuno degli altri, invece di reagire, si guardava intorno per capire la situazione, "veniva a sapere" che fare pazientemente la fila era il comportamento giusto" (Robert Cialdini, Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì, Firenze, Giunti/Barbera, 1989, p. 125) Cialdini precisa inoltre un meccanismo fondamentale che è importante chiarire: "Nessun capo può sperare di persuadere direttamente tutti i membri del gruppo, ma il fatto che sia riuscito a convincerne una frazione considerevole basta per convincere il resto". (Robert Cialdini, Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì, Firenze, Giunti/Barbera, 1989, p. 125) Questo principio è usato anche nell'ipnotismo quando l'ipnotizzatore in virtù della sua autorità e del suo carisma crea una cornice suggestiva che genera confusione e incertezza negli astanti: prima ipnotizza l'assistente e poi chiama i soggetti più "facili", che sono coloro che hanno stanno già sviluppando uno stato di trance o attenzione responsiva, per chiamare infine — solo dopo aver dato dimostrazione del suo "potere" con una serie di fenomenologie — sul palco i soggetti "resistenti". Autorità Siamo stati abituati fin da piccoli che è bene obbedire all'autorità e tutta la società è stata ordinata secondo un principio di gerarchie e di leggi. Su questo principio fa leva l'ipnosi autoritaria, i capi carismatici, i guru che raccontano di detenere poteri straordinari e coloro che sfoggiando titoli altisonanti e in divisa cercano di mettere in soggezione il loro interlocutore. Si spiega perciò perché nella pubblicità del dentifricio c’è un "medico" in divisa che ci prescrive l'acquisto del nuovo dentifricio antiplacca. Se ogni comportamento ha una componente di contenuto e una di relazione non è neanche necessario che l'autorità sia reale, basta comportarsi e apparire come detentori di un autorità sul prossimo, porsi in ruolo up. Alcune ricerche hanno dimostrato una sorta di "effetto alone". Cialdini narra un divertente esperimento condotto in una Università: Veniva presentato un visitatore a differenti classi attribuendogli di volta in volta qualifiche diverse. Man mano che saliva i gradini della scala sociale si incrementava anche la statura che gli studenti gli attribuivano. (Robert Cialdini, Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì, Firenze, Giunti/Barbera, 1989, p. 174) Un esperimento drammatico e inquietante è invece quello di Milgram all'Università di Yale, nel 1963: Ai volontari fu offerta una modica somma per partecipare all'esperimento. Vennero abbinati a coppie, con l'accordo che uno dei due dovesse partecipare in qualità di insegnante-correttore, mentre l'altro come allievo. L'"insegnante" (il vero soggetto dell'esperimento) venne accompagnato in una stanza e posto al controllo di un pannello. Sul pannello si trovavano vari pulsanti, gli fu spiegato che ogni pulsante, contraddistinto da un numero, somministrava una scarica elettrica. Si partiva da 15 fino a 450 volts. Intanto l'allievo veniva posto in una finta sedia elettrica nella stanza adiacente. Fu spiegato che l'esperimento mirava alla valutazione degli effetti prodotti dalle punizioni sull'apprendimento, l'istruttore fu lasciato libero e poi istigato a punire gli allievi poco dotati, con scariche progressivamente sempre più forti. Nell'altra stanza l'allievo fingeva e urlava di dolore. "[...] i soggetti si dimostrarono notevolmente succubi e obbedienti alle richieste del ricercatore: per la precisione, il 62% di essi arrivarono a somministrare scariche elettriche teoricamente mortali" (Alessandro Usai, I profili penali del condizionamento psichico , Giuffré Editore, p. 112) Il risultato dell’esperimento è ancor più sorprendente se pensiamo che all'istruttore, prima di iniziare, fu fatta provare la scarica elettrica di 45 volts (che è già abbastanza dolorosa) perché potesse verificare l'efficacia delle punizioni che andava a somministrare. Milgram cerca di spiegare il fenomeno in questi termini: "L'essenza dell'obbedienza consiste nel fatto che una persona giunge a vedere se stessa come strumento utile per portare avanti i desideri di un altro individuo e quindi non si considera più responsabili". (Stanley Milgram, Obedience to Authority, Harper & Row, New York (1974) Possiamo pensare anche al principio di coerenza con se stessi e alla creazione di una campo affermativo positivo. Scarsità Come fare per rendere appetibile un bene? semplice rendetelo scarso e poco disponibile, addirittura vietato o segreto (le sette si basano sulla segretezza dei livelli superiori del culto), fate in modo che non sia semplice ottenerlo, abbiate cura nel presentarlo come qualcosa di unico ed esclusivo e il gioco è fatto. A questo proposito si narra che la Zar di Russia, Caterina la Grande, per rendere appetibili le patate ne circondò i campi con alte palizzate e con cartelli che vietavano di rubarle. Nel marketing si insegna che anche la presenza/assenza di un prodotto fantasma particolarmente attraente crea un particolare contesto che può essere manipolato dal venditore rendendo meno appetibili altri prodotti per effetto di contrasto; non c’è nulla neanche di lontanamente paragonabile al prodotto fantasma (è il caso dei prodotti a edizioni di coppie limitate o delle offerte per un tempo limitato, etc.). A volte tale prodotto non è altro che una chimera che porta la persona a cercare l’impossibile dimenticando e trascurando tutte le altre alternative più ragionevoli: "la fissazione sui fantasmi può essere uno spreco di tempo e di energie, in particolar modo quando il fantasma è una falsa pista, un’opzione completamente inesistente." (Anthony Pratkanis, Elliot Aronson, Psicologia delle comunicazioni di massa, Il Mulino, 1996 Bologna, p. 211) Questo è il caso di Scientology - setta americana - che viene venduta agli adepti come l’unica opportunità in questa vita e su questo pianeta per sfuggire alla trappola. Si fa intendere che forse una opportunità così (malgrado la possibilità di reincarnarsi) non l’avrete mai più poiché nel frattempo Scientology potrebbe essere distrutta dai governi ostili oppure il nostro piccolo pianeta potrebbe essere distrutto dalla guerra nucleare. D’altronde non c’è nulla di neanche lontanamente paragonabile, chi vi può promettere poteri, immortalità e ogni tipo di risultato fisico e spirituale? E poi che dire della mistica e del mistero che avvolge i livelli superiori del culto raggiungibili solo dopo un adeguato addestramento e perfezionamento spirituale.
Le armi della persuasione nella vita quotidiana Le tecniche fin qui descritte ci insegnano che la strategia fondamentale per ottenere il consenso consiste nell’utilizzo delle forze e delle leggi della natura e di tutto ciò che l’interlocutore vi porta: la sua resistenza, il suo linguaggio, i suoi pattern comportamentali, le sue credenze e valori, la sua emotività, il suo inconscio... Ricordiamoci dunque che tali strategie di persuasione e coercizione non vigono soltanto nelle famose sette ma anche nella vita di ogni giorno. Alcuni esempi: Il datore di lavoro chiama di domenica il dipendente sul cellulare perché c’è una "urgenza" deve chiedergli alcune informazioni tecniche (non è certo la prima volta). D.L. Ohhh Carissimo finalmente! Lo sa che l’abbiamo (notare il plurale - riprova sociale) cercata tutto il giorno per mari e per monti... (lavorare sul senso di colpa...) Dipendente: Che vuole? lo sa che oggi è domenica? D.L.: Com’è irrascibile! Una persona intelligente come lei non dovrebbe rispondere in questo modo. Non so se si rende conto che siamo in una situazione difficilissima. "Lo sa" è un predicato di consapevolezza. In altre parole si da per scontato un fatto e rimane da sapere solo se l’altro si è già reso conto di ciò. L’uso della particella "noi" (quando in realtà la questione riguardava solo datore di lavoro) serve per stimolare la riprova sociale. "Una persona intelligente come lei non dovrebbe rispondere in questo modo", questa breve frase è in realtà una manovra molto astuta poiché troviamo: 1. Una posizione down da parte del datore di lavoro 2. Una ristrutturazione del significato della risposta del dipendente 3. Un doppio legame 4. Una comunicazione a due livelli differenti poiché sul piano paraverbale sembra fare intendere un dubbio a proposito e quindi stimola un atteggiamento di sfida da parte del dipendente che può fare due cose o rimanere arrabbiato e quindi dimostrare la sua stupidità oppure fare ciò che vuole il datore di lavoro. Riporto ora alcuni esempi di comportamenti tipici del "manipolatore" tratti da "L’arte di non lasciarsi manipolare": "Usa la colpevolizzazione e i luoghi comuni come se si trattasse di verità universali. Per esempio, per ottenere un favore senza farlo sembrare una richiesta o un’esigenza, dirà ad un amico: <È davvero una scocciatura che la mia macchina sia ancora in panne. La settimana scorsa era la batteria. Per fortuna Jacques, il mio vicino, si è offerto di occuparsene. È davvero simpatico e generoso. Dopo tutto è normale che ci si aiuti tra amici!>. E se alla fine viene espressa la richiesta reale: <Potresti prestarmi la tua macchina per oggi?>, la tendenza naturale in questo contesto sarebbe di accettare incondizionatamente. I più colpevolizzati di noi non aspettano nemmeno la domanda: la anticipano, proponendo i loro servizi nonostante le proprie esigenze di quel giorno. Così potranno essere considerati <davvero simpatici> e <generosi>, come lo è il vicino Jacques." (Isabelle Nazare-Aga, L’arte di non lasciarsi manipolare, Edizioni Paoline, 2000, p. 48) "Avendo bisogno di un guardaroba, e non avendo in quel momento grandi possibilità finanziarie, chiedono a Charles e a sua moglie se possono lasciare loro l’armadio per un mese o due, giusto il tempo che il marito ne costruisca uno solo. Otto o nove mesi più tardi l’armadio non è ancora stato restituito ai proprietari. Questi ultimi adesso ne hanno assolutamente bisogno e avvertono la coppia che stanno per tornare a riprendersi la propria roba. [...] Charles avverte la coppia che sarebbe passato con la moglie a recuperare il mobile verso la fine della settimana successiva. Arrivati sul posto, devono ancora liberare l’armadio dai vestiti e smontarlo completamente (non era ancora stato fatto!) il loro amico è sul lavoro e ad accoglierli ci sono solo la moglie e i figli. Il giorno dopo, Charles viene a sapere dall’amico che la moglie l’ha chiamato proprio dopo che se n’erano andati, decisamente furibonda, dicendo frasi del genere: <Ma ti rendi conto, arrivano all’improvviso; sbasttono tutte le cose per terra; non si preoccupano neanche di chiedere se siamo ancora nella m... Adesso non abbiamo più nemmeno un posto dove appendere i vestiti ..., simpatici i tuoi amici!" (pp. 83-84) "Non lavori sabato? No Potresti accompagnarmi all’areoporto? Si, a che ora? Il mio aereo parte per New York alle 7.30 Del mattino? Si, certo! Ma è presto Allora siamo d’accordo? Mah, non è che mi faccia comodo, ma va bene OK, passa a prendermi alle cinque e dieci Un momento, perché alle cinque e dieci? Perché vado a New York! Non vedo il nesso Insomma, bisogna essere all’aeroporto due ore prima, lo sai. E poi, sei fortunato: ci sono alcune compagnie che chiedono di trovarsi in aeroporto addirittura tre ore prima! Mio Dio, è davvero presto, perché sono stanco della settimana e... Ma sì, dormirai domenica! Sei giovane! Dai, sii gentile. Non ci vado mica tutte le settimane a New York No, per fortuna! D’accordo, ci vediamo sabato alle 5.10 a casa tua. O.K." (p. 114) Notate la domanda di apertura che serve a incastrarvi. Si possono anche fare dei commenti ironici alle vostre giuste obiezioni anzitutto definendole lagnanze, poi esagerandole (reductio ad absurdum) "ma non faccia il vecchietto...", "Cosa sei, proprio uno sfaticato", "non ho capito quando devi andare a sciare ti alzi prestissimo e adesso per fare un favore a un amico" etc... Così scopriamo che personalità manipolatrici sono capaci di usare istintivamente quasi la totalità delle tecniche persuasive. La "vittima" che gioca al gioco perverso insieme al "manipolatore" è generalmente una persona coscienziosa che tende a colpevolizzarsi, sarà quindi particolarmente vulnerabile alle critiche e ai giudizi anche se infondati. È una persona che preferisce sottostare a dei compromessi piuttosto che andare incontro a una lite e alla rottura del rapporto. La "vittima ideale" è spesso una persona insicura che tende a rispondere alle esigenze e alle necessità altrui e che ha notevoli distonie (disagi) in vari aspetti della sua vita. Il "manipolatore" potrà girare il coltello nella ferita (nei vari punti deboli) destabilizzando la fiducia dell’interlocutore per ottenere ciò che desidera. Potrà fare ciò anche tramite piccoli commenti casuali, allusioni che possono mettere in luce o amplificare un difetto o debolezza e lo farà magari in pubblico. Nel caso reagiate emotivamente può rappresentarvi come uno squilibrato negando ogni intento negativo. Le critiche possono anche essere nascoste all’interno di discorsi indiretti o con battute. Il manipolatore inoltre è molto abile nell’utilizzare un linguaggio vago e ambiguo, ciò vale anche quando ponete loro delle domande che tenderanno ad eludere: "L’aggressione viene perpetrata rifiutando di parlare di quello che succede, di discutere, di trovare insieme delle soluzioni" (Marie-France Hirigoyen, Molestie morali, Einaudi, 2000 Torino, p. 104) . Un linguaggio impreciso che lascia ampio spazio all’ambiguità accrescerà la confusione della "vittima" che non avrà mai elementi validi poiché gli si potrà sempre rispondere "Non intendevo dire questo! Non hai capito nulla". Un’altra tecnica di confusione è la lettura nel pensiero, per esempio "Tu ti mi critichi ma so che in realtà è perché hai un sacco di problemi e sei un persona fragile". Chiaramente i doppi legami sono il pane quotidiano del "manipolatore". Spesso una delle tecniche preferite è quella di chiamarvi all’ultimo momento e chiedervi un favore con estrema urgenza. Se non accettate diventate automaticamente degli ingrati, perché è anche abile a far pesare ogni cosa che ha fatto per voi come un’enorme debito. Tra l’altro prendendovi alla sprovvista riesce ad aggirare più efficacemente le vostre possibili opposizioni. Un’altra caratteristica del manipolatore è il fenomeno psicologico della proiezione. Spesso non potrà fare a meno di proiettare sugli altri caratteristiche che gli sono proprie quasi a sgravarsi di un peso che non potrebbe altrimenti sopportare. Poiché è un personaggio estremamente narcisista ritiene che gli altri debbano soddisfare unicamente i suoi interessi e quindi spesso non vi ascolterà, si metterà al centro dell’attenzione e non manterrà spesso le promesse con la scusa che aveva terribilmente da fare, richiedendo di essere consolato per tutte le cose che deve sopportare. La comunicazione privilegiata è di tipo manipolativo (se tu fai questo allora io... se non fai questo io...) e si nasconde spesso tramite minacce velate, per esempio se non fai questo io ti lascerò, oppure se non fai questo se un farabutto, se non fai questo ti capiterà qualcosa di male, andrai in rovina perché non sei nulla senza di me etc. Se il manipolatore è riuscito ad "agganciarvi" emotivamente allora voi avrete timore di queste "maledizioni" e dovrete effettuare tutta una serie di rituali (ciò che lui vuole che voi facciate) per propiziarvi la sua benevolenza. E verrà quasi da chiedergli "Ho fatto anche questo. Che cosa vuoi ancora che io faccia per placare la tua ira? per sfuggire alla maledizione?" La persuasione nella vita famigliare Per quanto riguarda la vita famigliare si può fare un discorso un poco più approfondito poiché la famiglia è il contesto privilegiato per l’induzione di sintomi in virtù di una interdipendenza economica ed emotiva che facilità il rapport e la suggestione fra i componenti del nucleo. Occorre tuttavia ricordare che la famiglia stessa è calata all’interno della società: "[...] le strutture sociali penetrano all’interno delle ‘membrane’ che circondano la famiglia e l’individuo, ricodificandosi in sistemi di credenze e sistemi relazionali e trasformandosi, talvolta, in una realtà interna sopraffacente. (Michele Ritterman - L’ipnosi nella terapia familiare, Astrolabio, 1986 Roma, p.11) Quindi tra questi tre sistemi: l’individuo, la famiglia, la società esistono delle membrane permeabili che fanno sì, per esempio, che l‘individuo introietti convinzioni, critiche proprie della struttura familiare di appartenenza per poi proiettarle all’esterno trasponendole nel contesto sociale della vita adulta. Così capiterà che l’individuo si risenta nei confronti del superiore come se costui fosse suo padre o finirà per riproporre nella vita di matrimonio alcuni drammi specifici della sua infanzia, trattando, per esempio, male suo figlio. A livello personale l’individuo è capace di autoindursi una serie di pensieri automatici e a livello familiare se guardiamo ai reciproci influenzamenti scopriamo delle vere e proprie induzioni del sintomo, tecniche ipnotiche indirette di disseminazione, confusione, doppi legami, etc. Al livello sociale la società induce una serie di convinzioni e sintomi che variano come il variare delle mode e delle epoche. Il caso più drammatico di influenza della società sul singolo è la morte vodoo: in tal caso lo stregone trae tutto il suo potere dal contesto sociale che lo sostiene. Così si può dire che "[...] la società può mandare in trance la famiglia, e la famiglia può mandare in trance il singolo membro. Un singolo membro può mandare in trance se stesso, oppure una famiglia o una società che reagiscano alle sue suggestioni (si pensi a Hitler e a Gandhi)". (Michele Ritterman - L’ipnosi nella terapia familiare, Astrolabio, 1986 Roma, p. 49) Possiamo anche intendere il sintomo espresso dal singolo come una metafora che indica una serie di conflitti tra l’individuo, la famiglia, la società. A questo punto focalizzerei l’attenzione sul ruolo delle relazioni familiari nell’induzione del sintomo. La famiglia è regolata da leggi e schemi di comportamento talvolta inespressi — e quindi difficilmente contestabili — che la costituiscono come entità privata e distinta dalla società. Tali regole e tabù vincolano i membri l’uno all’altro secondo un patto di sangue di presunta lealtà reciproca sino a poter stimolare un componente (il capro espiatorio) a entrare o restare in una particolare situazione problematica. Tutto ciò è agito quasi automaticamente secondo una serie di pattern di relazione ricorsivi. Le forme di induzioni sono indirette e quindi particolarmente potenti nell’indurre uno stato interno senza che la persona possa opporsi. Casi tipici sono i doppi legami. Se per esempio il figlio viene sottoposto a messaggi conflittuali riguardanti il potere e la responsabilità egli da una lato deve comportarsi responsabilmente e diventare adulto, dall’altro deve rimanere un bravo bambino, starsene tranquillo e obbedire. Rittermann parla anche di "induzioni di parti di sé" che ricorrono quando vengono evocate contemporaneamente o in rapida successione due aspetti comportamentali o parti della personalità contemporaneamente attraverso un direttiva nascosta: "In quanto soccorritore devi restare a casa e aiutarmi, in quanto bambino e persona fallita, sei una palla al piede e un epso finanziario per me, per cui vattene!" (Michele Ritterman - L’ipnosi nella terapia familiare, Astrolabio, 1986 Roma, p. 113) Altre forme di induzione sono l’attingere alla storia comune per evocare delle fantasticherie che hanno particolare significato all’interno della psicomitologia familiare, come per esempio rinfacciare un certo evento o farne accenno. Per rafforzare tale processo e renderlo più indiretto si possono utilizzare soltanto delle parole-stimolo capaci di avviare — in virtù del loro carattere simbolico ed evocativo — tutta una serie di sequenze induttive omai sedimentate nella vita famigliare. Queste parole stimolo per gli estranei possono non avere alcuna valenza emotiva e quindi la risposta spoprositata del coniuge verrà vista come sconsiderata. Si possono poi menzionare le "tecniche di confusione dei confini", quando si induce l’idea che un componente della famiglia sia tale e quale a qualcun altro, che abbia ereditato per esempio i difetti del padre o del farabutto dello zio e quindi stia scendendo una brutta china se non fa ciò che diciamo. Grazie a questa associazione si potrà più volte criticare lo zio Tom senza che il vero bersaglio (per esempio il figlio) possa difendersi perché tanto non si sta parlando veramente di lui. Un’altra tecnica sono i vincoli con i quali si induce l’idea che l’individuo sarà in realtà incapace e dimostrerà la sua cattiveria, inabilità o altro, qualcosa di molto simile alla sfida dell’ipnotista: "Non riesci a stare in piedi; dai, prova!". "Visto, che non ci riesci, visto che avevo ragione!". In tal modo si lanciano delle "maledizioni" tramite la rievocazione dei fallimenti dell’individuo piuttosto che delle sue risorse per poi pronosticare un brutto esito nel caso costui non faccia ciò che effettivamente vogliamo e tutto ciò sarà presentato come un intervento a fin di bene. Se invece costui riesce a districarsi dal vincolo e ha compiere qualcosa di buono si potrà dire "Ecco, finalmente dopo tante prediche che ti abbiamo fatto sei riuscito a fare qualcosa di buono! Bravo finalmente, anche quelli con una testa quadrata come te si riescono a cambiare dopo averci fatto sudare sette camice". Si può anche manifestare una serie di rimostranze e lamentele per poi dire all’altro che può anche non tenerne conto: "Spero che tu ti renda conto che puoi andare in ferie solo grazie ai sacrifici che ho fatto per te, e che rimango a lavorare in ufficio a fare gli straordinari, anche se sono stanca.. Ma non ti preoccupare, mi fa piacere che tu parta!" Il mobbing Infine un accenno al mobbing, un fenomeno di cui ultimamente si parla. Il mobbing è una forma di molestia sul lavoro: "si manifesta come un’azione (o una serie di azioni) che si ripete con una certa frequenza e per un certo periodo di tempo, compiuta da uno o più mobber (o aggressori) per danneggiare la vittima (o mobbizzato), quasi sempre in modo sistematico e con uno scopo ben preciso. Il mobbizzato viene letteralmente accerchiato e aggredito intenzionalmente (il verbo inglese to mob significa <assalire, aggredire, affollarsi attorno a qualcuno>) da aggressori che mettono in atto strategie comportamentali volte alla sua distruzione psicologica, sociale e professionale. I rapporti sociali si volgono alla conflittualità e si diradano sempre più, relegando la vittima nell’isolamento e nell’emarginazione più disperata. In seguito al mobbing la vittiam può risentire di una varietà di sintomi psicosomatici più o meno gravi, di stati depressivi o ansiosi, di tensione continua e incontrollata. L’esito ultimo — e purtroppo non raro — è il suicidio." (Marie-France Hirigoyen, Molestie morali, Einaudi, 2000 Torino, pp. 236-237)
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