Prescrizioni metaforiche e paradossali

Le direttive di Erickson però erano particolari spesso metaforiche e paradossali.

1. Per esempio Erickson a un alcolizzato disse: "Guardi. Ciò che le suggerisco le sembrerà strano, ma vada al Giardino Botanico. Là si fermi a guardare i cactus e mediti che i cactus riescono a sopravvivere tre anni senza acqua, senza pioggia."

2. In un caso di frigidità Erickson potrebbe spingere la cliente a immaginarsi in tutti i particolari il modo in cui scongelerebbe il frigo.

Tra l’altro quando il cliente descrive il problema in modo indiretto e metaforico è come se producesse un sogno che può essere interpretato e che può dare informazioni utili:

"... egli esamina attentamente il modo in cui lei affronterà questo lavoro, partendo dallo scompartimento superiore, da quello inferiore, o magari dal mezzo; che cosa tirerà fuori prima, che cosa dopo; quanto ghiaccio si può essere formato col tempo; in che punto lo strato è più spesso; quante cose dimenticate troverà negli angoli più riposti, che già da tempo avrebbe dovuto buttar via; qual è il modo migliore di effettuare lo sgelamento vero e proprio; se nel far questo eventualmente emergeranno dei ricordi e dei pensieri che non hanno niente a che fare con il lavoro in questione; come infine rimetterà tutto a posto di nuovo, che cosa vale la pena di conservare, eccetera." (Paul Watzlawick, Il linguaggio del cambiamento, Feltrinelli, 1997 Milano, p. 66)

3. Una tecnica che Erickson spesso usava per coniugi con difficoltà sessuali era parlare apparentemente di qualcos’altro per esempio il modo in cui cenano, così facendo si aggirerà la resistenza conscia e dal racconto si avranno ulteriori elementi rispetto al problema in questione: il marito potrà dire "a volte a mia moglie piace prendere degli aperitivi prima di cenare e cominciare il pasto lentamente mentre a me piace tuffarmi subito sul piatto di carne e patate". Si potranno fare anche dei commenti – senza fare intendere le implicazioni sessuali – del tipo "a certi mariti piace complimentarsi con la loro moglie su quanto il cibo sia gradevole, altri non notano niente e di conseguenza le mogli si stufano e non fanno alcun sforzo". Il terapeuta può dare un compito a casa: "i due dovranno scegliere una sera e insieme preparare una cena piacevole; dovranno dimostrare attenzione per le rispettive preferenze di gusto, la moglie dovrà cercare di stimolare l’appetito del marito che, a sua volta, dovrà fare quanto è in suo potere per farle piacere". (Jay Haley, La terapia del problem-solving, Nuova Italia Scientifica, 1985 Roma, p. 69)

4. C’è una figlia irriverente e aggressiva nei confronti della madre. La madre nel tentativo di risolvere il problema chiama in causa il padre che invece si rivela particolarmente indulgente nei confronti della figlia quasi l’appoggiasse. L’intervento proposto da Watzlawick è: "Abbiamo appurato che in questi casi una strategia molto utile è quella di dire al padre (in presenza della madre) che potrebbe ristabilire la pace in famiglia senza troppe difficoltà se fosse disposto a compiere un gesto piuttosto strano, e precisamente mettere la mano in tasca, tirar fuori una monetina e darla alla figlia ogni volta che è arrogante con la madre. È un gesto che va compiuto in silenzio come se fosse la cosa più naturale del mondo; se poi la figlia insistesse per sapere il significato di quel gesto, il padre dovrebbe limitarsi a risponderle: "Mi viene da darti una monetina". (Paul Watzlawick, John H. Weakland, Richard Fisch,Change, Astrolabio, 1974 Roma, p. 130)

Con questa prescrizione si crea confusione nella figlia, si interrompe il pattern e si comunica a livello simbolico disoccultando il gioco che si era istaurato tra padre e figlia: così facendo diventa impossibile continuare a giocare al gioco ingenuamente come prima.

L’uso di queste tecniche così come la prescrizione di rituali sono ormai in uso in varie forme di terapia e con Jung si è riscoperta la potenza del simbolo.

I terapeuti del Centro di Milano a questo proposito dicono che il rituale "conduce alla sostituzione di un rito malsano (come, ad esempio, il sintomo anoressico) ed epistemologicamente errato mediante uno sano ed epistemologicamente corretto.

Il rituale comporta una prescrizione comportamentale che conduce inaspettatamente al cambiamento (tramite per esempio doppi legami) e al contempo consiste di una parte specificatamente analogica: una sorta di messaggio per l’inconscio.

A questo proposito Alejandro Jodorowsky fondatore nel 1962 del teatro "panico" con Fernando Arrabal e Roland Topor (e regista di film come "El topo" e "La montagna incantata") ha inventato una forma di terapia che egli chiama psicomagia che riprende molti temi dell’approccio Ericksoniano ma che si sviluppa a partire dall’incontro con una guaritrice messicana chiamata Pachita.

Rispetto a questa esperienza scrive: "Non oserei dire che le manipolazioni di Pachita fossero vere e proprie operazioni; ma non posso neppure dire che non lo fossero... E, alla fine, sono arrivato alla conclusione che non ha importanza. Le domande di questo genere ci preoccupano perché crediamo in un mondo "obiettivo". [...] Comunque sia, non si può non riconoscere che Pachita fosse geniale. Se il suo era teatro, che grande attrice! Se era illusionismo, quella donna è stata la più grande illusionista di tutti i tempi! E che psicologa... [...] Grazie a lei ho capito che tutti – o quasi tutti –, siamo bambini, a volte adolescenti. [...] dal momento in cui sentivi le sue mani tra le tue, quella vecchia donna in cui sentivi le sue mani tra le tue, quella vecchia donna ti appariva nella veste della Madre Universale e non potevi più resisterle. [...] Ma dopo il contatto, la mia resistenza si è sciolta come neve al sole. Pachita sapeva che in ogni adulto, perfino in quello più sicuro di sé, dorme un bambino desideroso di amore. [...] Osservando Pachita, ho scoperto che, quando si finge un’operazione, il corpo umano reagisce come se fosse sottoposto a un intervento autentico. Se ti comunico che ti aprirò il ventre per estirparti un pezzo di fegato, se ti obbligo a sdraiarti su un tavolo e riproduco esattamente i suoni, gli odori e le manipolazioni, se senti il coltello sulla pelle, se vedi uscire il sangue, se hai la sensazione che le mie mani si rigirino nelle tue viscere ed estraggano qualcosa, sarai "operato". Il corpo umano accetta in modo diretto e ingenuo il linguaggio simbolico, come accade per i bambini. [...] Quindi, verità o menzogna, poco importa. Se c’è imbroglio, è un imbroglio sacro... [...] Era il modo di utilizzare il linguaggio degli oggetti e il vocabolario simbolico, al fine di produrre determinati effetti sul prossimo; in poche parole, come rivolgersi direttamente all’inconscio tramite il suo linguaggio, fosse attraverso le parole, gli oggetti o le azioni. Questo è ciò che ho imparato da Pachita. [...]"

La ricerca di Jodorowsky che lo porterà alla sua psicomagia si sviluppa ulteriormente con il suo interesse per la poesia, il teatro e l’esoterismo: "Ho letto centinaia di libri sul tema per tentare di estrarre elementi universali degni di essere utilizzati in modo cosciente nella pratica. [...] Un’altra pratica universale è quella è quella della purificazione, le abluzioni rituali. [...] Anch’io suggerisco a molti che vengono da me di farsi dei bagni e di praticare un particolare cerimoniale di abluzione, perché so che questo atto, all’apparenza insulso, influirà notevolmente sulla psiche e conferirà loro una diversa predisposizione d’animo. Se qualcuno ha paura di andare a parlare dalla propria madre, gli raccomando prima dell’incontro, di sciacquarsi la bocca sette volte e di riempirsi le tasche di lavanda. Questi dettagli sono sufficienti perché la situazione venga affrontata in modo diverso. [...] Anche gli stregoni ittiti mi hanno aiutato a scoprire i concetti di sostituzione e di identificazione [...] Secondo un testo antico, "si legherà un oggetto alla mano e al piede destro dell’offeritore, poi lo si slegherà e vi si legherà un topo, mentre l’officiante recita: ‘Io ti ho estirpato il male e l’ho legato a questo topo’: e allora il topo verrà liberato". Così Pachita estirpava il male per trasferirlo su una pianta, un albero o un cactus [...]" Ma la prescrizione di un atto psicomagico non è cosa da prendersi alla leggera né una serie di rituali preconfezionati bensì il frutto della raccolta di materiale e informazioni sul cliente anche tramite la divinazione con i tarocchi e le risposte non verbali del cliente: "Ho imparato questo principio da Mijamoto Misachi, famoso guerriero giapponese praticante di Kendo [...] Prima del combattimento, dice, bisogna recarsi sul campo all’alba e fare un minuzioso sopralluogo. [...] la familiarizzazione con il terreno psicoaffettivo della persona mi pareva un requisito indispensabile per la prescrizione di qualsiasi atto psicomagico." La cosa curiosa è che non si possono prevedere completamente gli effetti di un atto psicomagico e neppure i vari ostacoli che si possono creare nell’attuarlo ma questa imprevedibilità va accolta come un elemento fondamentale per la riuscita.

In ogni caso la persona si deve assoggettare alle direttive del terapeuta e seguire passo per passo il rituale prescritto. Anche il transfert ha chiramente un elemento fondamentale in queste pratiche che altrimenti non sarebbero "magiche": "Non so se avete mai assistito a un incontro di aikido: arriva il maestro e, grazie al ki, sembra diventare invisibile. Non lo è, perché di fronte a una persona che non sia suo discepolo non ha potere: è necessario u ntrasfert. Vale a dire, trasferiamo a certi archetipi forze che custodiamo dentro di noi, e in virtù di tale trasferimento, rendiamo quella persona un maestro, un guru, un essere dotato di una forza immensa."

 

Prescrizioni paradossali

Il primo passo della terapia parte dal comportamento che viene presentato.

Nel caso della donna che voleva suicidarsi la prima mossa di Erickson fu quella di dimostrare empatia dicendole che sì, era stata trattata tanto male e quindi era logico che lei pensasse al suicidio e nessuno poteva darle addosso per questo. Dopo aver ottenuto rapidamente la sua fiducia con questa manovra, Erickson passò alla fase di ‘guida’, nella quale suggerì che sarebbe stata una dannata vergogna morire e lasciare i suoi soldi a quei bastardi che l’avevano trattata così male.

L’interpretazione positiva del comportamento è intimamente connessa con la possibile alterazione dello stesso. Spesso l’interpretazione positiva rappresenta per il cliente la ragione logica per seguire una direttiva altrimenti illogica.

Selvini, Palazzoli, Boscolo, Cecchin e Prata usano dichiararsi alleati della famiglia e approvano il comportamento dei loro membri, in particolare di quelli che hanno sempre fatto da capro espiatorio, rendendoli gli eroi della famiglia; per esempio: "Attirando l’attenzione su di sé, Giovanni ha protetto tutta la famiglia, e specialmente suo padre e sua madre, dal dover guardare se stessi e il loro comportamento".
Questa tecnica che consiste nel connnotare positivamente il sintomo e nel prescriverlo è altamente confusiva.

Rapport e paradosso fissano l’attenzione. Il paradosso il particolare comporta un depotenziamento degli schemi cognitivi attuali e avvia una ricerca inconscia: Gli ordini paradossali sospendono la normale attività logica retta da regole e la mente cosciente rimane per qualche momento sovraccaricata dall’illogica logica della comunicazione paradossale.

Così si può dire che l’impiego del paradosso dà accesso a un nuovo quadro di riferimento, mentre la metafora permette l’associazione a esperienze della vita della persona che sinora sono rimaste inutilizzate.

Scrive Lankton: noi consideriamo il paradosso come la grande porta d’accesso a un cambiamento di second’ordine. [...] Per noi il paradosso è parte centrale dell’approccio di base, consistente nell’accettare qualsiasi cosa il cliente stia già facendo, nell’utilizzare e/o prescrivere il comportamento messo in atto e poi nell’operare un leggero cambiamento tale da far associare il cliente a quelle risorse interne e così tramutare il ‘problema’ in un ‘alleato’."

Dopo il ricalco e la confusione del paradosso si passa alla guida che comporta una alterazione della strategia usata dal cliente per affrontare il sintomo e che concorre a mantenerlo. Questo cambiamento può essere effettuato su vari parametri: il tempo, lo spazio o l’intensità.

Vediamo per esempio alcuni casi di prescrizioni paradossali.

Doppio legame terapeutico: qualsiasi cosa il cliente faccia va verso la guarigione, è implicato perciò un paradosso. L’interruzione dello schema avviene per sovraccarico:

1.Un giovane ha due problemi: non riesce a scrivere e a uscire con le donne.

Il terapeuta gli ingiunge che se non fosse stato in grado di scrivere sei pagine a settimana la settimana successiva avrebbe dovuto chiedere degli appuntamenti a giovani donne. Piuttosto che chiedere a una donna un’appuntamento il giovane si mise di buzzo buono e scrisse. In tal modo si adopera un sintomo per curare l’altro.

2. "Vuole venire a capo del problema già questa settimana o quella successiva?"

3. Con un paziente che evita qualsiasi situazione rischiosa:

"Bisogna dire al paziente che un modo serio e probabilmente efficace di risolvere il suo problema ci sarebbe, ma perché non pensi che si tratti di uno dei tanti consigli che gil sono stati dati e che certamente rifiuterebbe, non è possibile parlarne se prima non promette di fare tutto quello che gli si chiede per quanto difficile, incoerente o irragionevole possa sembrargli." (Paul Watzlawick, John H. Weakland, Richard Fisch,Change, Astrolabio, 1974 Roma, , p. 159)

Se rifiuta accetta il rischio perde l’"occasione" (quindi accetta un altro rischio) e dichiara implicitamente che il problema non è poi così urgente. Se accetta comincia a correre il rischio dell’ignoto e prende comunque una forma di iniziativa

4. Una paziente che partecipa a una terapia di gruppo non riusciva a dire di no, aveva l’idea che ciò sarebbe stato legato a conseguenze catastrofiche. Pare che quando era bambina si fosse rifiutata di rimanere a casa con il padre e quando ritornò lo trovò morto.

Fu quindi prescritto il sintomo: "dica di no a tutti i presenti uno per uno"

Essa si rifiutò quasi come presa dal panico: "No, mi è assolutamente impossibile dire ‘no’ alle altre persone!" Il terapeuta continuò a insistere e le si rifiutò. Dopo alcuni minuti le fece presente che stava dicendo di no e che nulla di male era accaduto.

Nei casi resistenti si può dare una direttiva paradossale del tipo: dire al cliente di fare una cosa quando invece si vuole che egli non agisca come suggerito. In tal caso il cambiamento deriva da un atto di ribellione nei confronti del terapeuta.

Questo metodo si basa su una comunicazione isomorfa a quella del cliente: il più delle volte il cliente dice di voler cambiare rimanendo lo stesso. Ciò vuol dire che il cliente ha raggiunto – malgrado la sua sofferenza – una stabilità e il terapeuta sospingendolo verso il nuovo e quindi verso l’istabilità produce una reazione di rifiuto, sfida o resistenza.

Per affrontare casi di questo genere la tattica paradossale si può riassumere in "utilizzazione della resistenza" o "incoraggiamento del sintomo" in questa categoria sono da inserire tutti gli interventi di terapia provocativa "alla Farelly".

Erickson davanti al rifiuto di magiare le verdure da parte di uno dei figli cominciò a proibire alla moglie di servirgli le verdure asserendo che era ancora troppo piccolo per poterle mangiare.

Si noterà che questi interventi consistono in una reductio ab absurdum del sintomo con interruzione dello schema per giro a vuoto:

1. "[...] una famiglia può presentarsi con il problema di un bambino che non vuole andare a scuola. Il terapeuta – nel contesto del suo lavoro (che consiste nell’aiutare il bambino a tornare a frequentare) – può parlare con la famiglia dei motivi per cui il ragazzo dovrebbe andare a scuola. Potrà suggerire, poi, che potrebbe essere meglio che il ragazzo stia a casa e potrà offrire a giustificazione di questa sua teoria varie ragioni a seconda del tipo di famiglia: potrà dire che forse gli altri componenti sarebbero tristi se il ragazzo andasse a scuola come gli altri e che perciò è meglio che rimanga a casa. [...] Quando il metodo ha successo, i componenti della famiglia ragiungono lo scopo per provare al terapeuta che sono bravi come gli altri: cambiano "spontaneamente". Il terapeuta dovrà accettare il mutamento quando questo avviene e lasciare che la famiglia manifesti la non grande opinione di lui nel dimostrargli che ha sbagliato. Se vuole assicurarsi che il cambiamento continui, potrà dire loro che forse si è trattato solo di un fatto temporaneo e che ci sarà una ricaduta; la famiglia, allora, continuerà a cambiare per provargli che ha torto.

Parlando di temporaneità del cambiamento, egli previene le ricadute, ma può fare lo stesso proprio favorendole; questo metodo può evitare che esse di verifichino. Il terapeuta potrà dire alla famiglia: "vedo che siete cambiati e che avete superato il problema, ma credo che questo sia accaduto troppo velocemente; vorrei che aveste una ricaduta e quindi, per questa settimana, cercate di comportarvi come facevate prima" [...] Quando chiederà di tornare alla situazione originale, essi comunque resisteranno, per non avere ricadute, cosa in cui consiste lo scopo del terapeuta" (Jay Haley, La terapia del problem-solving, Nuova Italia Scientifica, 1985 Roma, pp. 71-72)

Normalmente il paziente resistente propone una relazione simmetrica. Con queste tecniche si fa perdere forza alla persona che si oppone dando una valutazione positiva del comportamento e quindi lo si prescrive. In questo modo si sovverte l'equilibrio del sistema disfunzionale interrompendo l'escalation simmetrica. È un po' come se avesse fatto perdere l'equilibrio all'avversario usando la sua stessa forza.

1. In un ospedale psichiatrico c’era una ragazzina che quando aveva le crisi si divertiva a strappare l’intonaco dalle pareti e spesso picchiava le infermieri e le strappava i vestiti. Un giorno arrivò la chiamata. "Ruth si è scatenata di nuovo". Ruth aveva asportato tutto l’intonaco dalle pareti. Erickson arrivò e prese a strappare le lenzuola e le diede una mano a distruggere il letto e a spaccare le finestre. Poi le suggerri "Ruth, avanti stacchiamo dal muro quella valvola del termosifone e strappiamo via la tubazione". Poi Milton disse "Qui non possiamo fare più niente. Andiamo nell’altra stanza!" E ruth cominciò a sentirsi meno sicura :"È sicuro di dover fare così, dottor Erickson?". Mentre attraversavano il corridoio passava un’infermiera e Milton le strappò i vestiti a questo punto Ruth reagì e andò a prendere le lenzuola per comprirla. Aveva inteso la gravità del suo comportamento vedendolo, Erickson si era infiltrato nella sua realtà folle per rovinargliela.

2. Per pazienti affette da vomiting (mangiano parecchio e poi vomitano perché ciò le dà piacere) si può procedere in questo modo:

Ai genitori si prescrive un intervento paradossale. Il genitore che di solito interviene maggiormente con le tentate soluzioni deve andare a comperare un po’ di cibi per la figlia. Tutte le mattine dovrà andare a chiedere: "Cosa vuoi oggi da mangiare e vomitare? e si fa dare il menu, una volta comprato tutto quanto è stato richiesto disporrà i cibi in bella vista sul tavolo del salotto con un biglietto: "Roba da mangiare e vomitare per..." (Giorgio Nardone, Le prigioni del cibo, Ponte Alle Grazie, p. 201)

Così facendo si toglie alla ragazza il gusto della trasgressione. Prima il cibo veniva nascosto o si doveva mangiare di nascosto e poi vomitare ora si è incoraggiati a farlo.

3. Ai genitori della paziente anoressica si insegna non solo la congiura del silenzio che interrompe la serie di soluzioni disfunzionali ma anche a intervenire nel contesto con strategie paradossali e provocatorie:

"Di qui in avanti voglio che lei si impegni ad attuare una sorta di operazione di squalifica del problema di sua figlia, quindi per esempio smetta di apparecchiare per lei, smetta di dirle di venire a tavola, smetta di interessarsi di quello che mangia. Anzi, di qui a quando la rivedo, voglio che tutti i giorni ricordi almeno tre volte a sua figlia, al mattino, dopo pranzo e alla sera: ‘stai attenta a quello che mangi, perché potrebbe farti male. Se aumenti troppo alla svelta potresti spaventarti!’ Quindi lei, la mattina, dopopranzo, alla sera, dovrà dire questa formula a sua figlia: "mi raccomando: sei stata attenta a quello che mangi? Che se poi aumenti troppo alla svelta poi ti spaventi!" (Giorgio Nardone, Le prigioni del cibo, Ponte Alle Grazie, p. 82-83)

Così facendo si tolgono alla persona i benefici secondari che ricavava dal controllare gli altri con in suo sintomo. Il sintomo perde il significato precedente collocandolo all'interno di un contesto completamente diverso:

1. "Filippo, un bambino di cinque anni, da circa tre mesi è diventato ingestibile per via di una particolare e bizzarra, quanto inarrestabile, compulsione, ripetitiva e frequente, a sputare addosso agli altri bambini della scuola, e anche alle maestre. [...] La strategia consisteva nel dichiarare al bambino che si erano accorte della presenza in una scuola vicina di un altro bambino che come lui era molto bravo a sputare. La cosa le aveva meravigliate e incuriosite al punto di organizzare una sfida tra i due bambini per stabilire chi fosse il più bravo, e quindi da quel momento si aspettavano un serio allenamento in grado diportare lui e la scuola alla vittoria. Dovevano precisare che si rendevano disponibili a essere le allenatrici di questo training particolare, e che da subito avrebbero cominciato a organizzare le cose. Avrebbero quindi dovuto portare Filippo in una stanza della scuola, e qui, dopo aver disegnato un bersaglio su un grande foglio bianco, avrebbero dovuto sistemare il bambino a una certa distanza e incoraggiarlo a sputare, segnando su di un foglio i punteggi conseguiti a ogni sputo. L'allenamento si sarebbe dovuto verificare ogni giorno per tre volte durante l'arco di tutta la permanenza della scuola, per circa quindici minuti ogni volta. Tutti gli altri bambini presenti avrebbero dovuto applaudire o fischiare a seconda del successo nel colpire il bersaglio. (Andrea fiorenza, Bambini e ragazzi difficili, Ponte Alle Grazie, 2000 Milano, 93-94)

2. Posizione down per casi resistenti. Piuttosto che continuare a lottare dichiarate la resa: "Da un terapeuta ci si aspetta un risultato, un cambiamento positivo. Tutto sta a indicare che il suo stato si aggrava ed è possibile che io ne sia responsabile. Poiché non posso sopportare l’idea di peggiorare la sua condizione, è mio dovere consigliarle di consultare un terapeuta più competente di me. La potrò rivedere solo se starà meglio."
Da notare il doppio legame finale.

3. Sempre per casi resistenti che hanno "sconfitto" altri terapeuti:

"È un discorso che io non dovrei fare. Perché tu dirai: ma che medico è uno che viene a raccontarmi queste cose? Ma dato che siamo a quattr’occhi bisogna che una volta tanto ti dica chiaramente come la penso. Non è la testa tua che va curata ma la mia. Tu sei uno che si è sistemato e molta gente ci metterebbe la firma per fare la vita che fai tu. Io, alla mattina, quando mi sveglio, so che m’aspetta una giornata dove possono andar storte novantanove cose su cento; so che dovrò lavorare dieci ore tra preoccupazioni, responsabilità e problemi di vario genere. Quando ti svegli tu, se non ti va non devi neanche alzarti. Niente incertezze, niente impevisti, tre pasti serviti di tutto punto, il golf al pomeriggio e il cinema alla sera. A pagare le spese d’ospedale ci pensano i genitori, e quando loro non ci saranno più ci penserà lo Stato. Mi spieghi perché dovresti cambiare vita? Per vivere come me? Per fare queste cose affannose che non servono a niente?" (Paul Watzlawick, John H. Weakland, Richard Fisch,Change, Astrolabio, 1974 Roma, p. 140)

Con questa mossa si costringe il cliente fuori dallo schema di riferimento e quindi fuori dal gioco che aveva giocato finora: tutte le persone gli dicevano perché sarebbe dovuto cambiare e si erano prodigati in consigli dettati dal buon senso.

In questo caso una mossa paradossale consiste nella domanda: "Perché mai dovresti cambiare?". Per i casi fortemente reattivi e competitivi ci si può anche presentare nel modo più autoritario e pessimistico possibile sostenendo che la terapia è inutile, che il cliente è un caso disperato, che è meglio lasciar perdere e che ci si gioca la propria reputazione scommettendo sul fallimento del paziente. A questo punto il gioco è cambiato ora è il terapeuta a dire che la terapia è inutile e al paziente rimangono due alternative o rinunciare al gioco "psicoterapia"oppure giocare e sconfiggere il terapeuta guarendo.

Si tratta di un intervento molto forte che non va bene per tutti i clienti.

Terapia provocativa

Nella terapia provocativa il compito del terapeuta sarà quello di sfidare il cliente senza disdegnare lo humour. Per esempio nel caso di un depresso che intende suicidarsi: "Il terapeuta metterà in atto vari scenari: il ‘dopo’, la messa o il servizio funebre, il discorso commemorativo (che si risolve in un fiasco, col prete che cerca disperatamente di trovare qualcosa di buono da dire sullo ‘scomparso’ e miseramente e comicamente non vi riesce), i benefici del ‘lungo sonno’, l’arrivo all’inferno del paziente defunto, il trattamento della famiglia dopo il suicidio ecc..." (Frank Farrelly, La terapia provocativa, Astrolabio, 1984 Roma)

Il più delle volte il cliente per dimostrare che il terapeuta si sbaglia mette in atto tutta una serie di comportamenti adattativi e protesta contro le affermazioni esagerate del terapeuta sul suo conto.

L’intervento paradossale può consistere quindi in una reductio ad absurdum del sintomo provocando il cliente con critiche che portano al loro estremo logico le affermazioni del paziente esagerandole: "Se provocato dal terapeuta (in modo umoristico, pieno di tatto, e all’interno del suo quadro di riferimento), il cliente tenderà a spostarsi nella direzione opposta a quella che è stata la definizione data dal terapeuta del cliente" (Frank Farrelly, La terapia provocativa, Astrolabio, 1984 Roma, p. 59).

Visto che il cliente negherà comunque le interpretazioni puntuali del terapeuta disconfermandole, tanto vale anticiparlo proponendo una serie di interpretazioni esagerate che saranno rifiutate e che lo spingano all’azione per dimostrare al terapeuta che si sbaglia.

Oppure si può incoraggiare il comportamento disfunzionale proponendo tutta una serie di ragioni plausibili perché il cliente continui nel suo comportamento patologico: "il terapeuta incarna il ruolo di Satana, tenta e spinge il cliente a continuare a ‘peccare’, a continuare a con ‘buone’ e plausibili ragioni il suo comportamento deviante e patologico" (Frank Farrelly, La terapia provocativa, Astrolabio, 1984 Roma, p. 62)

• Reductio ad absurdum: Di fronte a un cliente depresso il terapeuta esordisce dicendo che in effetti il mondo fa veramente schifo e che non ce la fa più sentire sempre i malanni della gente, non riesce più dormire perché si rende conto che hanno perfettamente ragione, tutto va rotoli e comincia a piangere... la seduta finisce con il paziente che fa coraggio al terapeuta e cerca di consolarlo dicendo che non è poi così triste la vita.

• Incoraggiare il sintomo: il cliente arriva in seduta e comincia a disperarsi, il terapeuta risponde con una frase del tipo: "Effettivamente penso che lei sia proprio un caso disperato....." A quel punto il cliente può reagire protestando e cercando di spiegare che non intendeva dire quello, che in realtà non è poi così vero, che il terapeuta si sta sbagliando.

Ci sono poi molti altri modi per accrescere la tensione e la motivazione al cambiamento.
- Per esempio l'incoraggiare una risposta per poi frustrarla;
- la tecnica della "porta in faccia"=avanzare una richiesta gravosa e dopo aver ottenuto il rifiuto, avanzare la richiesta minore, quella effettivamente desiderata;
- regola del contraccambio o debito= "Lei non ha eseguito il compito che avevamo concordato nella scorsa seduta. Per questa volta ci passerò sopra, però nei prossimi giorni dovrà.... e si assegna un altro compito.";
- la strategia della "scatola vuota"= si chiede al paziente - prima di proporre la prescrizione comportamentale e dopo aver accresciuto la tensione emotiva - se è pronto a fare qualsiasi cosa per risolvere il problema. Mantenere un mistero intorno alla soluzione prospettata.
- Principio di coerenza con se stessi= "una persona intelligente e sensibile come lei non dovrebbe...."
- Piede nella porta=indurre il paziente ad assumersi un piccolo e apparentemente innocuo impegno e, quindi, aumentarne gradualmente l'entità
- Colpo basso=Presentare una richiesta dissimulandone i "costi" reali, per poi aumentarli quando il paziente ha già iniziato ad eseguirla e non può più tirarsi indietro

Un altro esempio di intervento "provocativo", questa volta su una paziente anoressica che ha già messo fuori combattimento molti medici:

Non capisco perché sia venuta da me. Lei è perfettamente felice e gode di una vita confortevole! Ha la fortuna di potere assaporare il fascino di scrittori meravigliosi, e non tutti possono condividere un godimento così raffinato. Rimanendo così magra, ha il piacere di avere i suoi genitori ai suoi ordini. Lei ha il potere, lo conservi!

Grazie alla sua magrezza, nessuno si accorge che ha due seni che potrebbero gonfiare la sua camicetta qui, a destra, e là, a sinistra. Nessuno si accorge che ha le natiche e le cosce, perciò nessun uomo la può seguire con lo sguardo quando cammina per strada. Non ha bisogno di servirsi della vagina: l’ha negata a tal punto che nessuna grossa verga dura la può penetrare! bisogna mettere in chiaro chi comanda, e lei l’ha fatto! Che scocciatura essere sedotta da un uomo, avere delle grosse mani sul proprio corpo, delle grosse mani che passano fra le cosce per risalire alla clitoride e accarezzarla! Che scocciatura! No signorina conservi la sua anoressia! Le voglio far risparmiare la sofferenza di una terapia. E poi sono ammirato davanti al suo professionismo. Lei ha vent’anni di pratica di anoressia, mentre io che cosa ne so? So solo quello che ho letto su due o tre libri e quello che mi hanno raccontato alcuni pazienti, mentre lei, signorina...!

No, decisamente, non riesco a trovare un motivo valido per iniziare una terapia. Ci rifletta sopra e, se fra tre settimane sarà riuscita trovarne uno, mi telefoni; ma la cosa più ragionevole è lasciar perdere. Non cambi niente perché altrimenti dovrebbe rinunciare a Proust, al potere assoluto che esercita sui suoi genitori, e soprattutto dovrebbe diventare femminile e appetibile sessualmente. Voglio risparmiarle la seccatura di una vita sessuale, con tutto il piacere che comporta." (Dominique Megglé, Psicoterapie brevi, Red Edizioni, 1998, p. 137)

In questo intervento si possono notare per esempio la comunicazione a doppio livello da una parte (digitale) si ammira la cliente mentre dall’altra la si critica (analogico). Il tono crudo e sgarbato oltre all’intervento paradossale (non cambi!) creano confusione che consente di disseminare qua e là delle immagini sessuali insinuando l’idea del piacere: "la seccatura di una vita sessuale con tutto il piacere che comporta".

 

Prescrizione del sintomo. La prescrizione del sintomo è utile anche per chi non è ostile al terapeuta, quindi non si da risalto all’aspetto di sfida terapeuta-cliente. In questa categoria sono da inserirsi tutti gli interventi paradossali tipo worst fantasy. In altre parole interventi il cui scopo è bloccare e cambiare le tentate soluzioni finora adottate.

Il terapeuta richiede espressamente la stabilità ("ok ti puoi tenere il sintomo") ma introduce all’interno della strategia adottata dal cliente un cambiamento "significativo" prendendo così controllo del sintomo.

1. A un cliente ossessivo si può dire "Ogni volta che di qui alla prossima seduta lei esegue un rituale, se lo esegue una volta lo esegua cinque volte, né una volta di più, né una volta di meno; può non farlo; ma se lo fa una volta lo fa cinque volte, né una volta di più, né una volta di meno." Oppure se la ossessione consiste nella ripetizione di formule mentali ci si può impossessare del sintomo trasformandolo in questo modo: "Da qui alla prossima volta che ci vedremo, ogni qual volta le viene da ripetere una delle sue formule la ripete a rovescio, tutte le ripetizioni che di solito fa, a rovescio." (Giorgio Nardone, Psicosoluzioni, BUR, Milano 1998, pp. 56-59)

2. A una persona grassa che voleva dimagrire, dopo averle chieso di promettere di fare tutto ciò che egli gli dirà di fare, Erickson disse: "Il suo peso attuale è di 80 chili. Voglio che lei acquisti dieci chili, e quando peserà 90 chili, sulla bilancia, potrà iniziare a calare."

3. Per coloro che hanno paura di parlare in pubblico un semplice stratagemma è manifestare apertamente la propria difficoltà piuttosto che nasconderla e tentare di controllarla: "Cari colleghi, vi prego di scusarmi in anticipo se durante questa mia presentazione potrà capitare che io arrossisca, cominci a sudare o perda il filo del discorso, perché sapete sono veramente emozionato".

4. Una volta che il cambiamento si avvia si può pensare che la cosa migliore sia entusiasmarsi subito e incoraggiare il cliente a ulteriori miglioramenti.

Non sempre però questa mossa si rivela efficace, in molti casi è utile invece dire "Non aver fretta", "go slow!" con un discorso di questo tipo:

"Siamo andati piuttosto di corsa. Piano, non aver fretta. quando impariamo a guidare un’auto o la moto ci piglia un po’ la mano e se non stiamo attenti e andiamo troppo forte alla prima curva brutta si va fuori strada. Piano. Adesso bisogna andare piano, rallentare. OK?" (Giorgio Nardone, Paura, panico, fobie, Ponte Alle Grazie, 1999 Milano, p. 181)

A questo primo intervento di norma segue anche la prescrizione della ricaduta: "In tal caso gli si può dire che una ricaduta non solo è inevitabile ma anzi desiderabile, perché gli consentirà di capire molto meglio la natura del suo problema e quindi dovrebbe fare il possibile per provocarla, preferibilmente prima della prossima seduta. Dentro tale schema (che è quello tipico del paradosso "Sii spontaneo") è chiaro che non può verificarsi che uno di questi due eventi: o il paziente ricade (e in tal caso l’evento viene ristrutturato come la prova che egli sa dominarsi fino al punto di provocare intenzionalmente una ricaduta) oppure non ricade (dimostrando si sapersi dominare fino al punto di evitare intenzionalmente una ricaduta)." (Paul Watzlawick, John H. Weakland, Richard Fisch,Change, Astrolabio, 1974 Roma, p. 141)

Spostamento del sintomo

In ipnoterapia lo spostamento del sintomo è spesso usato per trattare i dolori fisici. Si usano suggestioni del tipo: "il suo dolore scenderà lentamente dal fianco passando per il ginocchio sinistro fino al piede sinistro" (spostamento nello spazio) oppure per creare un'anestesia la sensibilità può essere fatta passare temporaneamente su una parte del corpo che non è interessata dall'intervento.

1. Chiedere al paziente di avere la sua crisi (depressiva, ansiosa, fobica, bulimica) a una determinata ora per un certo periodo di tempo – concerne anche uno spostamento del sintomo oltre alla sua prescrizione, è come dire "Il suo dolore si concentrerà dalle 8 alle 9 di lunedì, mercoledì e venerdì sera" (spostamento nel tempo). (vedi Paul Watzlawick, Il linguaggio del cambiamento, Feltrinelli, 1997 Milano, p. 102)

2. A un uomo che non riusciva ad avere una erezione Milton disse: "Ho detto a Mildred che deve andar a letto con lei ogni sera. Le ho detto di rifiutare qualsiasi suo tentativo di baciarla, di toccarle il seno, i genitali, il corpo. Si deve rifiutare totalmente. E voglio che ciò avvenga per tre mesi. Poi torneremo e discuteremo la situazione." Ciò cambiò lo schema di riferimento ora era la moglie che rendeva impossibile l’atto sessuale.

3. Rispetto a un paziente ossessivo si può chiedere al fine di spostare l’attenzione dalle sue seghe mentali al ragionare intorno alle possibili funzioni positive del suo rimuginare e dei suoi rituali. Insomma c’è un ruolo positivo nel sintomo che occorre scoprire. Così facendo si svia l’attenzione anche dai vari tentativi di inibire il sintomo che in realtà lo amplificano.

4. Per pazienti affette da vomiting e che sono collaborative si può procedere in questo modo:

Bene, allora da qui alla prossima volta io son ben lungi dal chiederti di sforzarti di non mangiare e vomitare, tanto non ci riesci, fallo tutte le volte che ne senti il desiderio. Da ora alla prossima seduta tu mangerai.., mangerai, mangerai come ti piace tanto fare. Quando avrai finito di mangiare, nel momento nel quale di solito devi andare a vomitare, ti fermerai, prenderai una sveglia, fisserai la suoneria a mezz’ora dopo e, per mezz’ora aspetterai senza fare nulla, senza mettere nient’altro in bocca, solido o liquido che sia. Quando suonerà la sveglia correrai a vomiterai, né un minuto prima, né un minuto dopo." (Giorgio Nardone, Le prigioni del cibo, Ponte Alle Grazie, p. 203)

Gradualmente questi tempi verranno allargati, aumentando l’intervallo del tempo il vomito da piacevole diventa faticoso e sgradevole.

Si noti che con lo spostamento del sintomo si da sempre questa doppia comunicazione intorno alla coppia stabilità/cambiamento che consente di ottenere la collaborazione del paziente e di cominciare a prendere il controllo del sintomo. Come al solito i piccoli passi sono sempre i più proficui, una richiesta troppo drastrica scoraggia e attiva le resistenze del paziente.

Con pazienti meno motivate al cambiamento si può porsi in un atteggiamento di sfida del tipo. "Se vuoi godere di più occorre aspettare" oppure chiedere di ridurre gli attacchi di vomito con un discorso del tipo: "Ah si, ti piace così tanto mangiare, però secondo me tu ti dai le arie di essere una vera trasgressiva ma non lo sai mica fare. Anzi, ti dirò di più, secondo me non riesci a godertela abbastanza. Se vuoi io ti posso insegnare a godertela di più, perché tu mangi a caso, quello che trovi... Proprio come in una performance erotica non credi che quello che conta di più sia la qualità dei coiti piuttosto che la quantità? Quindi chi te lo fa fare di mangiare e vomitare 3, 5 volte al giorno? Io credo che siano solo poche le volte veramente soddisfacenti. Perché non selezioniamo insieme come è più bello farlo, quali sono i cibi che ti danno più gusto, qual è il modo di farlo che ti piace di più, in che luogo ti piace di più, a che ora ti piace di più? Hai mai provato a selezionare? Io propongo una volta al giorno fatta veramente bene." (Giorgio Nardone, Le prigioni del cibo, Ponte Alle Grazie, p. 205)

Notate la ristrutturazione che fa uso degli schemi mentali della paziente per "catturarla".

Solcare il mare all’insaputa del cielo (misdirection)

Si tratta di manovre suggestive che permettono di distrarre l’attenzione lontano dagli schemi rigidi e disfunzionali. Potremo dire che costituiscono anche una sorta di interruzione dello schema per diversione.

1. Un classico esempio di tale stratagemma è la prescrizione di un diario di bordo sul quale annotare accuratamente data, luogo, ora, persone presenti, sensazioni in successione, etc. per ogni crisi di panico o fobia. Il paziente pensa che si tratti di una raccolta di informazioni per il terapeuta, in realtà è una manovra tesa alla distrazione dell'attenzione sul compito.

2. Altra tecnica (la prescrizione dell’antropologo):

"Nei prossimi giorni io voglio che lei, quando va fuori, faccia quello che di solito fa un antropologo quando va a studiare una particolare cultura. Egli osserva attentamente il modo di comportarsi delle persone, come si muovono, come parlano, i modi di agire, ecc. e sulla base di tali osservazioni cerca di capire tali persone e le regole che governano il loro comportamento, la loro società, la loro cultura. Voglio che lei si sforzi di capire, dal loro modo di agire, che tipo di persone sono. Sono convinto che con la sua sensibilità e capacità di attenzione, scoprirà cose interessanti di cui mi parlerà alla prossima seduta."

3. Per i pazienti ossessivi può essere utile, nella fase di conclusione della terapia, quando, malgrado i miglioramenti ottenuti, costoro mantengono un’inclinazione ossessiva nella loro analisi della realtà, dare una prescrizione chiamata "la formula magica":

In concomitanza di ogni sega mentale si deve scrivere 5 volte su un quaderno apposito la frase: "Think little and learn by doing!". Tale compito viene assegnato senza spiegare il significato della frase se la persona non sa l’inglese se la può far tradurre. Questo compito è anche una sorta di doppio legame perché la persona per evitare di scrivere questa roba che la fa sentire stupida finisce col smettere di farsi seghe mentali. Se invece continua a farsi seghe mentali il solo atto di scrivere 5 volte la frase costringe a interromperle e ha anche una funzione ironica nei confronti del sintomo.

4. Per pazienti affetti da agorafobia:

"Da qui alla prossima seduta lei eseguirà alla lettera ciò che sto per chiedere, sabato alle ore 10,00 lei si preparerà di tutto punto per uscire, andrà alla porta della sua casa, prima di aprire farà un’altra piroetta. Dopo di che aprirà la porta, uscirà, chiuderà la porta, farà un’altra piroetta, dopo di che scenderà le scale, arriverà al portone del palazzo, farà un’altra piroetta, lo aprirà e uscirà, dopo di che farà un’altra piroetta e si incamminerà verso il centro. Lei andrà al mercato ortofrutticolo e cercherà la mela più grossa, più rossa e più matura che le sarà possibile trovare. Comprerà solo quella mela e me la porterà qui al mio studio. Consideri che io sarò occupato quindi lei busserà alla porta del mio ufficio, io verrò ad aprire, lei mi lascerà la mela che io mi mangerò per colazione e ci vedremo al prossimo appuntamento." (Giorgio Nardone, Paura, panico, fobie, Ponte Alle Grazie, 1999 Milano, pp. 65-66)

Tra le due suggestioni: uscirà, si incamminerà .... e porterà la mela nello studio poi ci rivedremo al prossimo appuntamento; viene dato un compito indipendente che per essere eseguito presuppone l’essere usciti di casa. Questo compito focalizza l’attenzione su qualcosa d’altro così come le varie "prescrizioni magiche" del tipo fare una piroetta.

 

Residuo irrisolto

1. Questa tecnica è costituita da una ristrutturazione ed è basata sul concetto del "residuo irrisolto" concetto in uso nella terapia ipnotica per evitare le recidive:

"Voglio che conservi una parte del suo problema, diciamo il 10%, quando sarà terminata la terapia. Le chiedo di fare attenzione a mantenere il 10% del problema irrisolto, per ricordo. Altrimenti in futuro non sarebbe capace di ricordarsi che l’ha risolto, e non voglio privarla di un ricordo del genere".

2. Una tecnica efficace per mantenere i risultati raggiunti in coloro che sono riusciti ad avere un rapporto col cibo equilibrato è "il piccolo disordine che mantiene l’ordine": "Dietro ogni limite ci sta la trasgressione, più ti dai un limite rigido, più sarai portata a trasgredirlo. Se tu invece costruisci un ordine che contempli il disordine non hai più bisogno di trasgredire, perché un piccolo disordine ti evita un grande disordine [...] Bisogna concedersi qualcosa: se te lo concedi potrai rinunciarvi; se non te lo concedi sarà irrinunciabile" (p. 84)

Ristrutturazione: Se con alcune tecniche precedenti si dava al cliente una falsa illusione di alternativa, nella ristrutturazione si cambia attraverso un intervento paradossale la visione del mondo del cliente perché si renda conto che ci sono altre alternative di livello logico superiore alla dicotomia nel quale è impelagato o al significato attribuito all’evento. Ribaltando o cambiando il significato dell’evento cambia anche la risposta ad esso. Il racconto proposto da paziente non viene rifiutato a priori bensì arricchito con altri elementi fino alla sua trasformazione.

1. "Un padre trascinò letteralmente sua figlia da me tenendole un braccio piegato dietro la schiena, la fece sedere con uno strattone e ringhiò: "Siediti".

"C’è qualcosa che non?", chiesi.

"Questa ragazza è una puttanella!",

"Non mi serve una puttana; perché me l’ha portata?".

Ecco un’interruzione degna di questo nome. Questo genere di battuta iniziale è la mia preferita; con una battuta del genere, si può veramente mandare uno in cortocircuito. Se subito dopo gli si rivolge una qualsiasi domanda, non riuscirà mai più a tornare là da dove era partito.

"No, no! non è questo quello che volevo dire..."

"Chi è questa ragazza?".

"Mia figlia"

"Lei ha costretto sua figlia a prostituirsi!!!"

"No no! Lei non capisce..."

"E l’ha portata qui, da me! Che schifo!"

"No, no, no! Ha capito male!"

Quest’uomo che era entrato urlando e ringhiando, adesso mi sta supplicando di capirlo. Ha completamente cambiato prospettiva: ora non assale più la figlia, ma si sta difendendo. Nel frattempo, sua figlia, in silenzio, si sta facendo matte risate.

"Bhe mi spieghi la situazione allora"

‘Ecco, il fatto è che penso che le succederanno cose orribili"

"Certo, se le insegna quella professione ha perfettamente ragione!"

"No, non, vede, è che..."

"Beh che cosa vuole che io faccia, allora? Cos’è che vuole".

Lui allora comincia a spiegarmi che cosa voleva. Quando ha finito, dico: "Lei l’ha portata qui tenendole un braccio piegato dietro la schiena, e l’ha sballottata qua e là. Questo è esattamente il modo in cui vengono trattate le prostitute; ecco cosa le sta insegnando a fare".

"Beh, io voglio costringerla a ..."

"Oh, costringerla"... insegnarle che gli uomini controllano le donne sbattacchiandole qua e là, comandandole a bacchetta, storcendo loro un braccio dietro la schiena e costringendole a fare cose che non vogliono fare. È così che fanno i protettori. Le resta soltanto da chiederle i soldi in cambio"

"No, io non sto facendo questo. È che lei va a letto col suo ragazzo".

"Si è fatta pagare?"

"No".

"Lo ama?"

"È troppo giovane per poter amare"

"Forse che non amava lei, suo padre, già da piccolissima?". Ecco che prende forma l’immagine di lei piccolissima, seduta sulle ginocchia del babbo. Con un’immagine del genere si può mettere nel sacco qualsiasi vecchio brontolone.

"Mi permetta di farle una domanda. Guardi sua figlia... Non vuole che riesca a provare il sentimento dell’amore, e che viva il comportamento sessuale come una cosa piacevole? La morale di oggi non è più quella di una volta, e lei non è costretto a farsela piacere. Ma le piacerebbe forse se l’unico modo in cui sua figlia imparasse ad avere rapporti con gli uomini fosse lo stesso che ha avuto cone lei quando l’ha fatta entrare in questa stanza qualche minuta fa? E che aspettasse i venticinque anni per sposare qualcuno che la picchiasse, la sbattacchiasse, la maltrattasse e la costringesse a fare cose che non vuol fare?".

"Ma potrebbe commettere uno sbaglio, e questo potrebbe farle del male".

"È possibilissimo. Può senz’altro darsi che tra due anni quel tizio la pianti in asso e se ne vada. E quando starà male e si sentirà sola... non avrà nessuno a cui rivolgersi, perché odierà suo padre con tutta se stessa. Se venisse da lei, si sentirebbe rispondere: ‘Te l’avevo detto’".

"Anche se a quel punto riuscisse da sola ad andarsene per trovare qualcun altro con cui istaurare un vero rapporto, una volta che avesse dei figli suoi, i suoi nipoti, non verrebbe mai a farglieli vedere. Perché rammenterebbe quel che lei le ha fatto, e non vorrebbe che dei bambini imparassero cose del genere...".

A questo punto non sa più cosa pensare, e allora è il momento di colpire duro. Lo guardi diritto negli occhi, e gli dici: "Non è forse più importante che sua figlia impari ad avere dei rapporti d’amore... oppure dovrebbe imparare a far propria la moralità del primo uomo capace di costringerla a fare ciò che lui vuole? I protettori fanno proprio questo".

Provate a trovare una via d’uscita. Non ce ne sono. Il suo cervello non aveva più modo di tornare indietro per fare ciò che faceva prima. Non poteva comportarsi come un protettore. [...] potrebbe per esempio insegnare a sua figlia qual è il modo in cui un uomo deve comportarsi nei confronti di una donna. Perché allora, se l’esperienza che sua figlia vive con quel tizio non va bene, lei ne resterà insoddisfatta. Deve fare in modo che stia meglio con loro che con quel tizio che le ronza intorno." (Richard Bandler, Usare il cervello per cambiare, Astrolabio, 1986 Roma, p. 64)

2. "un interno di dodici anni faceva di tutto per disturbare la lezione chiacchierando continuamente e comportandosi in modo indisciplinato. Disolito per punizione veniva mandato nella sua camera e, siccome si rifiutava di rimanervi, vi veniva chiuso dentro a chiave. Da alcuni giorni aveva cominciato a picchiare contro la porta chiusa con pugni e calci, anche per ore, finché non lo si faceva uscire. Esortazioni e minaccie rimanevano senza risultato. Come ultima ratio, ai sorveglianti non rimaneva che la cella di isolamento in cantina. Ma il ragazzo riuscì a continuare anche lì con i suoi colpi udibili in tutto il palazzo. [...] Il mio collega lo interpretò come problema di interazione fra gli interni della casa e il persona le di sorveglianza e cambiò da cima a fondo il significato che la situazione aveva per il ragazzo proponendo un gioco ai suoi compagni: tutti dovevano cercare di indovinare per quanto tempo il punito avrebbe continuato a battere. Il premio per la valutazione più vicina al vero sarebbe stato una bottiglia di Coca Cola. [...] Uno dei ragazzi sgattaiolò fuori dalla classe, corse fino alla finestra della cella d’isolamento e gridò: "Per piacere, va’ avanti a battere ancora per sette minuti, così vinco una bottiglia di Coca Cola." I colpi smisero" (Paul Watzlawick, Il linguaggio del cambiamento, Feltrinelli, 1997 Milano, p. 120)

3. "È anche possibile comunicare delle ristrutturazioni in modo indiretto, quasi casuale e apparentemente non intenzionale. Una volta Erickson fu consultato dalla madre di una quattordicenne che, pensando che i suoi piedi fossero troppo grandi, si isolava sempre di più standosene quasi sempre a casa, andando malvolentieri a scuola e evitando le amiche. Come si può facilmente immaginare, tutti cercavano di convincerla che i suoi piedi erano normali e che l’idea che fossero troppo grandi era unicamente frutto della sua fantasia. Nell’interazionefra la ragazza e le persone che la circondavano si era così creato e saldamente stabilito il solito gioco senza fine. Quanto più i discorsi che gli altri le rivolgevano erano animati da buone intenzioni, tanto più lei si intestardiva nell’idea delle deformità dei suoi piedi. Erickson si mise d’accordo con la madre di andarla a trovare a casa sua con lo scopo apparente di un esame medico alla madre stessa. Nel corso dell’esame pregò la ragazza di portargli una salvietta, di mettersi in piedi dietro di lui e di tenersi pronta a dargliela. Poco dopo fece un passo indietro e "per errore" le pestò con violenza i piedi. La ragazza lanciò un’esclamazione di dolore, al che lui si voltò e disse con voce adirata: "Se tu lasciassi crescere quei tuoi piedi abbastanza perché un uomo li possa vedere, questo non accadrebbe". (Paul Watzlawick, Il linguaggio del cambiamento, Feltrinelli, 1997 Milano, p. 121)

4. Per una paziente di Erickson il sesso era un’attività dolorosa e spiacevole. Essa si sentiva una nullità poiché da quando aveva 6 anni fino a 17 anni era stata molestata sessualmente dal padre.

Erickson disse: "Questa è una triste storia, e la cosa veramente triste è ... che lei è una stupida! Lei mi viene a dire che è spaventata da un pene eretto, gagliardo, duro e ciò è stupido! Lei sa di avere una vagina; io lo so. Una vagina è capace di prendere il pene più grosso, più gagliardo, più vigoroso che ci sia e trasformarlo in un misero cindolino. E la sua vagina può provare il maligno piacere di ridurlo a un misero cindolino."

5. Un paziente fobico che si fa aiutare dai parenti anche per fare due passi fuori casa in realtà si sta ingabbiando sempre più, il sostegno sociale da parte dei parenti funziona come una "tentata soluzione" che mantiene e aggrava il problema. La prima mossa da fare in questo caso è una ristrutturazione che utilizzi la paura del paziente contro il disturbo fobico:

"Bene, vorrei passare ad una prima riflessione che la invito a fare durante la prossima settimana. Io vorrei che lei pensasse che ogniqualvolta lei chiede aiuto e lo riceve, riceve contemporaneamente due messaggi: uno, evidente è "ti voglio bene, ti proteggo". Il secondo, meno evidente, ma più sottile e più forte è "io ti aiuto perché da solo non puoi farcela". A lungo andare il secondo di questi messaggi contribuisce non solo a far persistere, ma a far aggravare i suoi sintomi di paura. In quanto tale conferma funziona come un vero e proprio rinforzo ed incentivo alla sua sintomatologia. Però badi bene, io non le sto chiedendo di non chiedere più aiuto perché lei ora non è in grado di non chiedere aiuto. Le sto chiedendo soltanto di pensare che ogniqualvolta chiede aiuto e lo riceve contribuisce a far persistere e a far aggravare i suoi problemi. Però mi raccomando non si sforzi di riuscire a non chiedere aiuto poiché non è in grado di non chiedere aiuto.

(Giorgio Nardone, Paura, panico, fobie, Ponte Alle Grazie, 1999 Milano, p.110)

(notate l’uso ripetuto delle negazioni)

6. Per le bulimiche che mostrano una moralità rigida ci si può avvalere di una ristrutturazione che provocatoriamente colleghi l’abbuffarsi al sesso sfrenato. Ci si propone così di mettere il sintomo bulimico contro il sistema di valori e principi morali della persona:

"Io voglio che lei cominci a pensare che quando mangia e non ne può fare a meno, in realtà è come se facesse un’altra cosa... Una cosa che lei fa nella maniera più trasgressiva, più perversa... Provi a immaginare che quando mangia in realtà sta facendo un’altra cosa, ma non le dico cosa, ci arrivi da sola...". Una volta che la persona coglie il nesso il terapeuta propone la "fantasia dell’incontenibile sessualità":

"Allora io voglio che da qui alla prossima volta lei eviti di sforzarsi di non mangiare, tanto lo farebbe comunque, però ogni volta che lo fa pensi che è come se lei si svegliasse la mattina in preda a un raptus sessuale incontenibile, uscisse per strada e il primo uomo che incontra, bello o brutto non importa – tanto a lei interessa solo il sesso – lo prende e lo spinge dentro a un portone e consuma il rapporto sessuale più perverso, più trasgressivo ma più gustoso possibile, fino proprio al massimo piacere... Poi, appena finito, esce di lì e si sente in colpa, sporca, e sta male tutto il giorno. Ma la mattina dopo si risveglia e ha la stessa incontenibile pulsione: allora esce, e il primo uomo che incontra, bello o brutto che sia non importa, rifà la stessa cosa fino al massimo del piacere... e poi si sente in colpa." (Giorgio Nardone, Le prigioni del cibo, Ponte Alle Grazie, p. 131)

7. Un raggazzo viene sospeso. La mamma va a casa e gli dice che il preside dà grande importanza alla frequenza delle lezioni che ritiene indispensabili perché uno studente non resti indietro. Lei ritiene che molto probabilmente lo ha sospeso anche per questo, per farlo bocciare. Fa inoltre notare che se fosse riuscito ad andare bene o anche meglio di quando frequentava la scuola il preside sarebbe arrossito dalla vergogna. A quel punto gli consiglia di non andare troppo bene a scuola così che il preside non debba perdere la faccia. (Change, p. 143)

In questo modo l’ostilità e l’odio verso il preside vengono incanalate in un compito costruttivo tramite una semplice ridefinizione della realtà.

Tecnica del "come se"

Questa tecnica parte dal presupposto che "Se vuoi vedere, occorre che tu impari ad agire" formulato da Heinz von Foerster. Come a dire che se riusciamo a mettere in atto un comportamento che è problematico o "impossibile" all’interno del nostro modello del mondo, il suo porlo in atto ha la capacità di retroagire sulla nostra realtà di second’ordine scardinandola.

In effetti, il bambino – e lo dimostra Piaget nell’opera "La costruzione del reale nel bambino" – costruisce la sua percezione della realtà a partire da attività esplorative malgrado l’idea comune che l’agire segua necessariamente al pensare.

D’altronde sono le prime esperienze disponibili all’interno del sistema familiare che costituiscono i presupposti per le inferenze disfunzionali e patogene sulla realtà circonstante. Per esempio se i genitori sono rifiutanti il bambino può inferire che si merita il rifiuto; se i genitori sono capricciosi, lunatici o particolarmente nervosi il bambino potrà sviluppare un senso di pericolo costante e divenire iper-vigile ecc. (è il fenomeno del deutoreoapaprendimento)

La tecnica del "come se" deve la sua efficacia molto probabilmente anche al fenomeno della dissonanza cognitiva. La dissonanza cognitiva è una teoria che si basa sull'assunto che "l'individuo mira alla coerenza con se stesso. Le sue opinioni e i suoi comportamenti, per esempio, tendono a comporsi in complessi intimamente coerenti." [Festinger, A theory of cognitive dissonance, Standford University, 1957]. In altri termini quando si presenta un conflitto tra pensieri, emozioni o comportamento, quelli in conflitto tenderanno a cambiare per minimizzare la contraddizione e il disagio che ne deriva. La persona può infatti tollerare solo un certo numero di discrepanze tra questi componenti che formano la sua identità. Tenderà perciò a diminuire le cognizioni dissonanti, a rafforzare e aumentare quelle consonanti con una particolare condotta.

In altre parole si segue la tecnica di Blaise Pascal – che non era certo l'ultimo della lista in quanto a capacità persuasorie – quando consigliava a coloro che decidevano di credere – ma che avevano difficoltà a suscitare interiormente la fede – di comportarsi come se credessero già: <<andate in chiesa, inginocchiatevi, pregate, onorate i sacramenti, comportatevi come se voi credeste. La fede non tarderà ad arrivare>>.

Si potrebbe obiettare che la prescrizione "come se" ha una efficacia fittizzia poiché è basata su una finzione. A questo proposito occorre ricordare il filosofo tedesco Hans Vaihinger (1852-1933) nell’opera La filosofia del "come se" (1911) spiega come la filosofia, la religione, la scienza si fondino su finzioni che non sono provabili. È grazie alla funzione linguistica del ‘come se’ che il pensiero è capace di fingere a se stesso l’esistenza di certi enti per poi utilizzare i sistemi di pensiero creati al fine di operare pragmaticamente nel mondo.

La finzione, in quanto libera produzione della psiche, è arbitraria; ma, se utilizzata consapevolmente, ha un valore euristico-pratico notevole; pensiamo soltanto alle grandi costruzioni del pensiero come la matematica.

D’altronde gli stessi teoremi di Gödel e il costruttivismo dimostrano che le finzioni sono irrinunciabili e ineliminabili, poiché qualsiasi teoria si costruisce a partire da proposizioni che sono originate da un osservatore con i suoi presupposti e idiosincrasie. Queste teorie sono creazioni di una persona umana – che non può avere un accesso diretto a una realtà oggettiva – e quindi non possono essere difese entro il quadro della teoria medesima senza cadere in contraddizione.

La cosa curiosa ciò è che ciò che è "inesatto" può tuttavia avere validità pragmatica e quindi ciò che è utile non deve necessariamente essere "vero".

Proprio per questo, quando una finzione "come se" ha adempiuto il suo compito può uscire tranquillamente di scena. Questo almeno è ciò che accade nella scienza.

E per chiarire meglio questo concetto Watlawick riporta un racconto particolarmente illuminante:

"Un padre ha disposto che la sua eredità vada per metà al figlio maggiore, per un terzo al secondo e per un nono al figlio minore. L'eredità consiste in 17 cammelli, e per quanto i figli, dopo la sua morte, voltino e rivoltino il problema da tutte le parti, non trovano alcuna soluzione se non quella di smembrare alcuni animali. A un certo punto, non si sa da dove, arriva un mullah, un predicatore itinerante, ed essi gli chiedono un consiglio. Questi dice: "Ecco qui - vi do il mio cammello in aggiunta ai vostri; così sono diciotto. Tu, il maggiore, ne ricevi la metà, quindi nove. - Tu, secondo, ne ricevi un terzo, e cioè sei. - A te, il minore, spetta un nono, quindi due cammelli e ne rimane uno, cioè il mio". Così dice, sale in sella e se ne va. (Paul Watzlawick, Il codino del Barone di Münchhausen, Feltrinelli, 1989 Milano, pp. 111-112)

1. Fantasia del miracolo

È una tecnica che deriva da quella messa a punto da Steve de Shazer (1988):

"Questo compito è una fantasia che dovrai fare tutte le mattine, di qui a quando ci rivedremo. Voglio che tutte le mattine, mentre ti lavi, ti vesti, tu ti faccia questa concreta fantasia, una fantasia magica. Immagina che esci da questa stanza, come oggi uscirai da questa stanza, che chiudi dietro di te la porta, come oggi chiuderai la porta, e appena uscita di qui – come per miracolo – il tuo problema è scomparso, non esiste più. Cosa cambierebbe subito nella tua vita? Quali altri problemi dovresti affrontare? Fatti questa fantasia tutte le mattine, immaginando proprio che vai oltre il problema." (Giorgio Nardone, Le prigioni del cibo, Ponte Alle Grazie, p. 77)

Tale tecnica è utile – oltre che per l’autoinganno positivo orientato alla soluzione – anche per raccogliere una serie di informazioni importanti sui vantaggi secondari o sull’ecologia del cambiamento perché si tratta di un vero e proprio pseudorientamento nel tempo.

La prefigurazione dell’obiettivo è un semplice stratagemma per orientare il comportamento del cliente in accordo con le aspettative generate, funziona un po’ come una profezia che si autodetermina (questa volta per avviare un circolo virtuoso). Consente inoltre di uscire – anche se per un attimo – dal proprio stato problema cominciando in tal modo a perturbarlo.

Può essere particolarmente utile utilizzare la formula suggestiva "quando": "Che cosa pensate che accadrà quando riuscirà ad affrontare il suo capo?". Il "quando" implica la certezza del cambiamento diversamente dal se: "Che cosa pensate accadrebbe se riuscisse ad affrontare il suo capo?" che trasmette un messaggio alquanto diverso.

2. Tecnica del come se per realizzare un cambiamento minimale volto all’attivazione dell’effetto Butterfly (Thom, 1990):

"Voglio che tu, tutti i giorni, la mattina, mentre ti lavi, ti vesti, ti prepari... ti faccia questa domanda: ‘Cosa farei oggi, nella giornata di oggi, di diverso da quello che faccio usualmente, come se pensassi che il mio problema è completamente scomparso. E fra tutte le cose che ti vengono in mente e che potresti fare, scegli la più piccola, la più minimale e la metti in pratica. La prossima volta mi porterai la lista delle cose che hai fatto." (Le prigioni del cibo, p. 81)

3. Domande solution-oriented che presuppongono un cambiamento (vedi linguaggio ipnotico)

  • "Tra il momento in cui ha telefonato per prendere l'appuntamento e oggi, quali cambiamenti ha osservato nella sua vita?"
  • "Quando starà ancora meglio, da quali indizi lo capirà?"
  • "Fra i cambiamenti che ha osservato, quali sono quelli che le piacerebbe vedere accresciuti?".
  • Alla conclusione della terapia: "Ogni mattina, quando ti lavi, ti vesti, ti prepari, pensa a come ti comporteresti se fossi sempre stata una ragazzina decisa e non fossi mai stata indecisa e poi fra tutte le cose che ti vengono in mente, scegli la più piccola ma concreta e mettila in pratica. Ogni giorno fai una cosa diversa.

"Come se" nell'ipnosi

Le teniche "come se" hanno una loro origine nell'ipnosi, per esempio per far andare in trance una persona posso chiedere come sarebbe se fosse in trance e farmi descrivere in tutti i dettagli la trance fino a simulare una trance profonda. Anche Erickson in alcuni casi faceva così: "Mandare Dolly in trance era una faticaccia. Non poteva proprio entrare in trance profonda. Le impartii la suggestione che avrebbe potuto 'imparare a entrare in trance'. [...]
Così dissi al soggetto che era indispensabile che facesse finta di entrare in trance. Le dissi di aprire gli occhi e semplicemente essere in grado di veere la mia mano. Quindi le dissi che la sua visione periferica si sarebbe offuscata sempre più, fino a essere limitata solo alla mano. [...] E ben presto si sentì sicura di vedere solo la mia mano, senza la scrivania, o me, o la sedia. Allora la feci uscire e poi rientrare dalla trance leggera, poi ripetere andando in trance profonda.iLei simulò più volte una trance profonda, sino a che non divenne effettivamente vera." (La mia voce ti accompagnerà, p. 66)

 

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