La realtà dell’illusione

“l’ipnosi non è una risposta stabile a stimoli dati, ma muta col mutare delle attese e dei preconcetti di una particolare epoca”

Jaynes, J. (1996), Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza

 

Effetto placebo, trance, illusionismo, teatro,  leggende, miti, racconti e linguaggio sono solo alcuni dei fenomeni che si manifestano allorché creiamo una rappresentazione del ‘reale’ e nella intersezione fra mente e corpo generiamo una mappa del mondo, la quale ci consente di ‘interfacciarci’ e di entrare in relazione con esso. Chiameremo questo fenomeno la realtà dell’illusione; esso si trova al confine, al limitare e nella intersezione tra mente e corpo, tra l’ombra e la luce...  sul filo del crepuscolo lo andiamo a cercare, laddove ciò che è immaginario produce effetti concreti.

Ma è bene ricordare che tutto ciò nasce da un bisogno biologico primario, dell’uomo e del quale egli non può fare a meno. Infatti l’uomo dall’inizio dei tempi non può fare a meno di creare in continuazione narrazioni e racconti a proposito del ‘reale’ senza tuttavia conoscerlo mai a fondo, nella sua essenza. Paradolia, ricerca transderivazionale, sono solo alcune parole per definire questo strano fenomeno che è la trance quotidiana. Siamo come  un cieco che si muove in una stanza a tentoni e solo inciampando e tastando il terreno cerca di arriva dall’altra parte. La realtà della stanza si manifesta solo quando inciampiamo e ci scontriamo con un ostacolo. Solo quando le nostre illusioni falliscono qualcosa si manifesta e si nasconde al tempo stesso, quasi che la ricerca della verità possa essere raggiunta solo per via apofantica... ma forse l’unica verità che possiamo scoprire è la verità della nostra illusione.

 

Placebo e Magnetismo animale
In questa esplorazione vorrei partire dal ‘caso Mesmer’. 
Mesmer viene riconosciuto da molti come il precursore dell’ipnotismo. In realtà  egli inizialmente elaborò le sue idee a partire dalla medicina magica del medioevo  - in particolare la figura di  Paracelso fu essenziale -  secondo la quale esisterebbe un fluido astrale che permea l’universo e che influisce sull’uomo, tale forza si manifesta in modo mirabile nel magnete.
Apprese tutto ciò dal gesuita e astronomo padre Maximilian Hell che gli insegnò come utilizzare i magneti a scopo curativo. Ma uno spiacevole incidente - non aveva con sé i magneti e pose allora le sue mani sulle parti malate - lo portò a rivedere le sue teorie e a trovare una nuova relazione causa-effetto: se l’imposizione delle mani sulla parte malata è capace di produrre un effetto curativo deve esistere  un magnetismo animale insito nell’uomo - in particolare in alcuni uomini più dotati -  capace di  provocare la guarigione.


Nella pratica del magnetismo troviamo alcuni assiomi di particolare interesse:

1. La creatura umana e la relazione medico-paziente portano con sé un potenziale di cura piuttosto che un semplice materiale inerte.
2. Il potenziale curativo viene amplificato quando agiscono collettivamente più persone nello stesso istante.

3. Il sintomo va portato – come nell’esorcismo – all’estremo sino alla crisi, in una sorta di prescrizione del sintomo. Una volta allo “scoperto” può venire risolto tramite il ‘rituale magnetico’. 

Purtroppo la ‘realtà’ di questo fluido rimane in ultima analisi indimostrabile.

La commissione che studiò il fenomeno nel lontano 1784 arrivò a una conclusione paradossale: il magnetismo animale è da ritenersi immaginario e quindi non esistente; ma nonostante ciò non si possono negare alcuni effetti concreti;  per questo motivo è da ritenersi altresì  pericoloso.


Questa identica questione ritorna ancora oggi sotto altro nome: “effetto placebo”. Il fatto che siamo abituati a identificare come placebo un finto farmaco è solo perché la società attuale è farmacocentrica, ma “l’effetto placebo” può scatenarsi come effetto di un qualsiasi comportamento e interazione umana, per questo le parole continuano a conservare la loro magia originaria….

 

Il placebo, infatti come i trattamenti di Mesmer sarebbe da ritenersi una qualsiasi “sostanza inerte e inattiva” che viene “spacciata” come la cura. Grazie a questa credenza, all’effetto profezia e ad altri fenomeni psicologici come i condizionamenti pre-esistenti, il placebo risulta capace di produrre effetti positivi o negativi (in questo caso viene chiamato nocebo).
Esistono ormai un certo numero di studi che ne accertano l’esistenza. Talora alcune di queste scoperte sono sorprendenti, perché mostrano come il placebo possa comportarsi in modo simile a un farmaco reale.
A questo proposito riporto quanto scritto nel libro “Placebo e dintorni” di Giorgio Dobrilla (Il Pensiero Scientifico Editore): “il placebo può mimare i comportamenti che sono considerati una caratteristica esclusiva degli agenti farmacologici attivi quali l’effetto building up o curva tempo-effetto (raggiungimento progressivo del massimo dell’effetto), l’effetto cumulativo (effetto maggiore per dosi ripetute), e l’effetto carry-over (persistenza dell’effetto dopo la sospensione del trattamento) […] il maggiore effetto ottenuto aumentando le dosi di placebo. In letteratura si segnalano casi di idiosincrasia al placebo e casi di dipendenza sovrapponibile a quella osservata con i veri farmaci, con tendenza del soggetto ad aumentare la dose per stare meglio, con incapacità di sospendere il placebo se non assistiti dal medico […] e infine sindrome di astinenza”.  (pag. 23)

Ora è bene chiarire che qui non si vuole proporre il placebo come un sostituto della medicina, infatti la sua efficacia è stata dimostrata più che altro sul piano psicosomatico e per esempio i falsi interventi di guaritori filippini possono produrre solo un temporaneo effetto sollievo; quindi quello che ci interessa realmente è comprendere il più possibile il funzionamento e fare attenzione alle variabili intervenienti.

Per variabile interveniente intendiamo le sottigliezze e i parametri essenziali che presuppongono il fenomeno, e che sembrano essere : il setting (il contesto nel quale viene assunto il placebo), il rapport (la relazione medico-paziente), gli apprendimenti stato-dipendenti (esperienze personali e condizionamenti pre-esistenti con trattamenti simili), le profezie che si autodeterminano (le aspettative e l’effetto suggestione).

Ciascuno di questi elementi meriterebbe un libro a parte...

 

Condizionamento e apprendimento stato dipendente

L’esito di un trattamento precedente sembra un elemento molto importante perché crea una aspettativa positiva e consente di attingere a una risposta già appresa dall’organismo.
Così se somministro un placebo e lo ‘spaccio’ per lo stesso farmaco che è stato particolarmente efficace in passato ho maggiori probabilità di successo. Questo effetto è simile al condizionamento classico pavloviano. Esistono infatti riflessi innati patrimonio di tutta l’umanità e riflessi condizionati creati durante la propria vita
à in questo modo determinati stimoli sono associati automaticamente a una determinata risposta.
Prendiamo il tennis, all’inizio fatichiamo coscientemente ma col tempo, si crea un comportamento automatico e di riflesso sappiamo già come rispondere alla pallina che arriva velocemente. Tutti gli apprendimenti acquisiti e i condizionamenti sono integrati a un livello profondo nella nostra neurologia. E’ questo il modo attraverso il quale la mente codifica a livello psicofisiologico le  informazioni.
Torniamo così alla intersezione mente-corpo che nell’ipnosi viene anche chiamata risposta ideodinamica, una risposta che si realizza senza un intervento cosciente.
Pavlov quando parlava di condizionamenti faceva riferimento a due tipi di segnali quelli di primo grado che derivano dalla pura eccitazione sensoriale e quelli di secondo grado che derivano dalle parole. La magia delle parole dell’ipnotista  (ma anche dell’attore, il venditore etc…)  è quella particolare capacità di evocare risposte fisiologiche, capace di utilizzare la capacità della mente umana di trasformare le idee in atti, anche se a volte a livello di minuta risposta involontaria sia essa motoria, sensoriale o emotiva. Ciò non potrebbe accadere se i vari sistemi non fossero intrecciati tra loro in modo tale da creare una struttura multistrato dove le informazioni fluiscono dall’alto al basso e dal basso all’alto.
Ora l’intervento della mente, e quindi della corteccia risulta essenziale (anche se viene aggirata la parte razionale e critica), infatti il meccanismo non può funzionare su una persona  incosciente. In altre parole il soggetto deve sapere che sta ricevendo una sostanza o qualsiasi altra cosa che viene classificata come curativa altrimenti non si crea l’aspettativa di risposta e quindi la profezia autodeterminantesi. Se poi esiste un condizionamento pre-esistente tanto meglio. Comunque la risposta inconscia si attiverà sempre a partire dal sistema nervoso autonomo (non volontario).
La sequenza è: corteccia cerebrale
à ipotalamo (area del cervello più antica sottostante la corteccia e dove viene attivato il sistema nervoso autonomo) à  ipofisi e surrene che producono ormoni à risposta immunitaria.
Così si è visto che se a una medicina efficace si associa un certo sapore (stimolo condizionato), si può dare in seguito un placebo (mantenendo solo il sapore originario e togliendo il principio attivo) e  i soggetti sicuri di prendere la medicina rispondono per la maggior parte positivamente.

Tra l’altro la risposta ha un carattere oggettivo, accade infatti che i soggetti condizionati all’uso di un analgesico come la morfina, rispondano a un finto analgesico con la produzione di reali endorfine e l’uso di un altro farmaco vero come il naloxone (un antagonista oppiaceo) causa l’inibizione della risposta placebica.

(Vedi “Placebo e dintorni”. Giorgio Dobrilla. Il Pensiero Scientifico Editore – pag 82)

 

Suggestione e profezia che si autodetermina

L’effetto suggestione può essere riassunto in “una aspettativa di risposta”. Se nell’effetto di apprendimento stato-dipendente è il passato che influenza la risposta presente, in questo caso è una rappresentazione futura, una sorta di profezia che si ritiene reale e che produce un effetto sul presente. Il classico ed eclatante caso di profezia che si autodetermina viene riportata in letteratura antropologica: il caso dei riti vudù. Quando la persona sa ed è convinta di essere stata colpita da una maledizione, si lascia andare e viene anche allontanata dal gruppo che la vede come spacciata, in una relazione circolare causa-effetto, comportamenti e aspettative di risposta determinano in breve tempo la morte.

 

Uno studio di Kirsch e Weixel dimostra quanto le aspettative siano importanti. 
Vennero formati 3 gruppi A-B-C.

Il Gruppo B riceveva caffè con caffeina, il gruppo A caffè decaffeinato, il gruppo C placebo.

La logica farebbe pensare che i maggiori effetti a livello cardiaco dovrebbero essere riscontrati nel gruppo B. In realtà l’aumento più significativo (in termini di frequenza cardiaca, tensione e pressione arteriosa) fù riscontrato nel gruppo C che era il gruppo convinto di riceve caffè normale.

I gruppi A e B vennero invece informati che avrebbero potuto riceve a caso caffè normale o placebizzato, quest’unico presupposto era sufficiente e andava a minare le sicurezze e le aspettative dei soggetti tanto da produrre effetti fisici.

“Placebo e dintorni”. Giorgio Dobrilla. Il Pensiero Scientifico Editore – pag 77 -78)

 

Un'altra cosa curiosa che viene definita come predittiva dell’effetto placebo è la cosiddetta compliance (aderenza nei confronti delle direttive del medico). Si verifica così un effetto apparentemente assurdo: se il paziente prende il placebo sempre, ogni giorno, avrà una percentuale di successo potenzialmente maggiore. La compliance risulta quindi essere indice di una buona relazione tra il medico e il paziente (uno dei parametri essenziali). Inoltre ci si può aspettare un’alta fiducia nel trattamento da parte di un soggetto diligente.

(Vedi “Placebo e dintorni”. Giorgio Dobrilla. Il Pensiero Scientifico Editore – pag 26-27)

 

Setting e relazione medico-paziente

Abbiamo visto quanto sia importante la credenza del paziente, ma risulta altrettanto importante la credenza da parte del medico. Se il medico non crede nell’effetto placebo, non potrà fare a meno di comunicare la sua credenza attraverso il suo linguaggio non-verbale e tale convinzione sarà recepita a livello inconscio o pre-conscio dal paziente.


A questo proposito cito un esperimento tratto dal libro “Placebo e dintorni” di Giorgio Dobrilla riguardo a pazienti schizofrenici di un reparto psichiatrico:

“i medici parlano tra loro e poi conversando con le infermiere comunicano che hanno deciso di cambiare terapia all’insaputa dei pazienti: gli schizofrenici da quel giorno riceveranno, invece che la cloropromazina, un farmaco-placebo. Nella settimana successiva, senza che nessuna informazione sia apparentemente filtrata dallo staff paramedico ai pazienti, i disturbi comportamentali risultano raddoppiati e ciò non meraviglia data l’avvenuta sospensione dello psicofarmaco. A questo punto, i medici decidono di sostituire il placebo e di ritornare alla cloropromazina, senza avvertire le infermiere. Risultato? Nei giorni successivi non viene registrata alcuna variazione di comportamento”

(Vedi “Placebo e dintorni”. Giorgio Dobrilla. Il Pensiero Scientifico Editore – pag 60)

 

A proposito delle reazioni a livello non verbale e di quanto queste siano importanti rimando a due piccoli capitoli in appendice (La comunicazione Facilitata - Il cavallo Hans).

 

Altre sottigliezze

Raccolgo qui una serie di sottigliezze che contribuiscono all’efficacia del placebo.

L’aspetto delle capsule, il loro colore e grandezza. La grandezza e il numero di compresse prese sono un altro parametro non indifferente. Il colore può cambiarne l’interpretazione: generalmente una pastiglia rossa verrà vissuta come stimolante, mentre una pastiglia blue come calmante. Inoltre le iniezioni vengono percepite come più efficaci delle capsule.

(Vedi “Placebo e dintorni”. Giorgio Dobrilla. Il Pensiero Scientifico Editore – pag 25)

 

Illusionismo e ipnosi. Due metodi efficaci per esperimenti scientifici nella creazione del reale.

Considero ipnosi e illusionismo come due discipline essenziali ed istruttive per dimostrare anche tramite esperimenti scientifici la realtà dell’illusione nella quale viviamo ciascun giorno. Tra l’altro è stato già da altri indicato quanto le due pratiche siano simili tra loro (Terapie apparentemente magiche. L’analisi illusionistica dello stratagemma terapeutico. Matteo Rampin. McGraw-Hill Editore). Quindi non mi dilungherò se non per ricordare che gli effetti dei prestigiatori sono per la maggior parte dovuti non alla destrezza (altrimenti sarebbe solo giocoleria) quanto alla conoscenza del ruolo dell’attenzione, delle aspettative e dei vari “bias cognitivi” nel costruire la realtà..

Proprio perchè stiamo parlando dell’effetto placebo e del ruolo delle aspettative mi preme ricordare che le aspettative sono manipolate dal performer gestendo aree di maggiore e minore attenzione attraverso la suspance. Questo è il vero motivo che porta l’illusionista a non ripetere mai il gioco (se non utilizzando un trucco completamente diverso).
Ecco un passo veramente interessante a questo proposito, tratto dal Numero 9 di Magia (collana gestita dal CICAP):

“Ricerche nell’ambito della scienza della capacità visiva hanno dimostrato come molta parte della visione sia essenzialmente una forma di allucinazione intelligente. Per percepire la profondità, il sitema visivo deve recuperare la terza dimensione da una immagine 2D ... Tuttavia a causa delle molte soluzioni normalmente disponibili ... il risultato deve essere ottenuto tramite l’applicazione di alcuni assunti di qualche tipo. Questo approccio, nondimeno, può portare a errori, che prendono la forma di illusioni [...] E’ interessante che gli spettatori spesso riportino di aver osservato un evento “reale””, anche se questo evento non ha mai avuto luogo [...] la velocità finita della trasmissione neurale causa un ritardo tra l’arrivo dello stimolo e la percezione cosciente. Un modo di compensare questo ritardo è quello di ‘predire il presente’ (ovvero predire l’esito di un evento prima che questo sia completamente elaborato). Questa strategia è particolarmente utile in situazioni che richiedono reazioni rapide  [...] ma tali predizioni possono anche renderci vulnerabili all’inganno.”

Psicologia: La magia come scienza. Pag 99-100

 

E qui ci fermiamo per descrivere un effetto di illusionismo basato proprio su questo principio. Prima il mago lancia in aria e riprende più volte la pallina, creando una sorta di condizionamento (aspettativa di risposta nell’audience) poi finge ancora di lanciarla in aria (con lo stesso identico movimento) mentre in realtà la tiene impalmata nella mano. Si è visto che molti tra i presenti vedevano una pallina salire in aria e poi scomparire. L’illusione ha maggiore efficacia se il mago segue con lo sguardo la pallina, entra qui infatti un altro condizionamento sociale ben appreso.

 

 

Leggende Metropolitane e Crop Circle
Quando parliamo di leggende e miti ci spostiamo dal piano del singolo soggetto a rappresentazioni a livello collettivo. Così come accade per il singolo ci sono alcuni miti difficili a cadere (credenze e schemi radicati) anche a livello di gruppo ciò accade e la smentita di un fatto non provoca necessariamente l’estinzione dello stesso. Quando le persone ‘vogliono credere’ è veramente difficile smontare il mito.  Un classico della letteratura su questo tema fu lo studio di Leon Festinger su un culto ufologico che credeva nella fine del mondo. Quando la fine del mondo non arrivò il gruppo - come accade in altre situazioni simili – piuttosto che disgregarsi trovò maggiore motivo di coesione ed elaborò una serie di spiegazioni per mantenere intatta la loro visione della realtà. Quindi per gli adepti la profezia non era fallita,  arrivarono anche a rilanciare il credo nel tentativo di espandere il più possibile il movimento. Infatti, se si riesce a convincere abbastanza persone che è vero allora lo deve veramente essere!. Si creade a queste leggende non perché vere ma perché si vuole credere. La leggenda soddisfando un bisogno nascosto o  palese, in relatà si accorda alle esigenze, valori, desideri, paure dei sostenitori.

 

Questa è una caratteristica delle cosiddette “leggende metropolitane”, esse  cercano di sopravvivere come un virus, si replicano ed eventualmente si trasformano per attecchire meglio.
La mutazione serve per renderle più plausibili e appetibili nei confronti di un certo gruppo di riferimento.  Altre volte invece, un determinato tema ritorna e si ripropone attraverso i secoli sotto forma diversa, aggiornandosi  alla realtà sociale nel frattempo modificata. Così fate, elfi e gnomi si  trasformano in UFO a partire dal secolo scorso.

 

Lorenzo Montali  cita un classico esempio di mutazione che rende una leggenda ancora più plausibile, addirittura espandibile in altri contesti. E’ il caso dei vitelli geneticamente modificati di McDonald’s: “è interessante notare che la prima versione di quella storia, originariamente diffusa negli Stati Uniti, prendeva di mira un’altra catena di fast-food, la Kfc, il cui prodotto principale è costituito da pollo fritto. Ma a differenza della McDonald’s, Kfc non è presente nel nostro Paese, per cui la leggenda avrebbe avuto ben poca speranza di circolare da noi. Sostituendo polli con hamburger, però, e una catena di ristorazione con l’altra, ecco che la storia è subito diventata interessante e si è rapidamente diffusa, soprattutto via mail.”

(Leggende Tecnologiche. Lorenzo Montali. Avverbi Edizioni. Pag . 49)

 

La creazione e la diffusione di una leggenda quindi è opera di un gruppo di persone che la ritiene significativa. La causa scatenante sembra comunque la presenza - come nel fenomeno della paradolia  - di stimoli ambigui: la  mancanza di informazioni certe o di stimoli indecifrabili e contraddittori porta alla ricerca di un significato. Un po’ come quando guardando delle macchie sul muro e alla fine si produce la visione di un viso, una volta che quel viso viene identificato anche altre persone possono cominciare a vederlo e la leggenda comincia a diffondersi.
E qui ritorniamo a quanto già accennato, la necessità dell’uomo di costruirsi una rappresentazione del reale per quanto illusoria essa sia.

Inoltre come spiega bene Lorenzo Montali: “Le leggende sono quindi gruppo-specifiche, nel senso che vengono costruite e diffuse all’interno di un gruppo sociale, che le utilizza per veicolare la propria visione della realtà. […]”.

 

Un altro esempio sono Crop Circle…

I crop circle (cerchi nel grano), come ogni forma d’arte sono capaci di interagire con coloro che ne entrano in contatto, li studiano, li interpretano o semplicemente ne fruiscono. Ancor più interessanti sono i resoconti  di strani fenomeni o guarigioni nelle vicinanze del sito, quasi fosse un luogo sacro.


Le varie spiegazioni del fenomeno spaziano dal misticismo all’ufologia sino a spiegazioni scientifiche considerate “oggettive”. Quest’ultimo è il caso delle interpretazioni del Dr. Maiden che, – sulla base del suo background di metereologo – ‘inventa’ una spiegazione fisica e conia il termine di “plasma vortex” catalogandoli come fenomeno naturale di natura elettromagnetica. In seguito quando dai cerchi si cominciò a passare a pittogrammi, Meiden, contrariamente a ogni evidenza dei fatti riaggiornò la teoria rendendola via via più complicata e astrusa nel tentativo di farla calzare alla spiegazione originale.

 

Infine nel 1991 si assistette all’uscita allo scoperto dei primi creatori (Doug Bower e Dave Chorley). Malgrado la rivelazione, le convinzioni di base di tutti i sostenitori della origine non-umana non furono destabilizzate,  venne solo introdotta una nuova distinzione fra crop-circle autentici e crop circle creati da burloni, questo nel caso migliore, mentre nel caso peggiore veniva attribuita l’opera ad agenti pagati dal governo per confondere l’opinione pubblica.

 

 

 

Appendice

 

Nota: il primo tema è tratto dal libro di Martin Gardner: “Scienza, imposture e abbagli”. Hoepli.
Mentre il secondo da “Ipnosi: realtà o fantasia” a cura di Matteo Rampin. Quaderno 8 del CICAP

 

La comunicazione Facilitata

La CF (Comunicazione Facilitata). Tecnica pseudoterapeutica per bambini autistici-

 

“Un bambino autistico siede davanti a una macchina per scrivere o alla tastiera di un computer.. Accanto a lui c’è un terapista, in genere una donna, che viene chiamato ‘facilitatore’. Il terapista pone al bambino una domanda, quindi gli stringe la mano, il polso o il gomito – mentre il bambino allunga il dito indice e comincia a digitare. Questo metodo si basa sulla convinzione che il bambino riesca a comunicare i propri pensieri scrivendo sulla tastiera. Poiché però non dispone della coordinazione muscolare necessaria per trovare i tasti giusti, il facilitare lo assiste in questa operazione aiutandolo a individuare i tasti che è certo il bambino intende premere…I bambini arrivavano addirittura a formulare per iscritto intere frasi dotate di senso logico…Erano completamente all’oscuro della forza del cosiddetto ‘effetto ouija’ o ideomotore. Sia pure in modo del tutto inconsapevole, guidavano il dito del bambino verso i tasti che immaginava stesse cercando. In parole povere, erano loro stessi, non i pazienti a scrivere. Come prevedibile, visto che è difficile guidare con precisione un dito verso un determinato tasto, i messaggi dei bambini pullulano di errori ortografici…. NON SNO A UTISTIBVCO QUANO SCRIV ”

 

“In uno dei primi test eseguiti a tale scopo il bambino e il facilitatore indossavano delle cuffie. Se una data domanda veniva udita da entrambi, il bambino digitava una risposta ragionevole. Ma nel caso in cui era solo il bambino a sentire la domanda, mentre il facilitatore ascoltava della musica, la risposta del bambino non aveva alcuna attinenza con la domanda…. Un’immagine veniva mostrata sia al bambino che al facilitarore. Il bambino digitava con precisione il nome dell’oggetto da riconoscere quando era aiutato dal terapista. In seguito lo sperimentatore mostrava un’immagine al facilitatore, ma questa volta, nel girare la cartellina in modo che solo il bambino potesse vedere l’immagine, copriva di nascosto la prima immagine, esponendone una diversa… il bambino non scriveva il nome dell’immagine che aveva visto, bensì il nome di quella che era stata mostrata al facilitatore….

utistici,o artistico come ouja) eccezzionale to queste siano inportanti saranno recepite a livello inconscio o pre-conmsciol pr
Nel 1992 un gruppo di facilitatori si convinsero che alcuni pazienti fossero dotati di poteri psichici. Per esempio, mentre questi bambini digitavano sulla tastiera il terapista teneva loro la mano, le frasi che componevano rivelavano spesso ciò che il facilitatore stava pensando…. Mostravano a un bambino una immagine, per esempio un elefante. Ed ecco che un altro bambino, in una stanza distante, digitava la parola ‘elefante’ quando gli veniva chiesto cosa avesse visto il suo compagno. Naturalmente entrambi i facilitatori coinvolti nell’esperimento sapevano che l’oggetto da riconoscere era un elefante…

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Esperimento con Randi: Mescolava un gruppo di carte con immagini differenti, scegliendone una a caso. A un facilitatore veniva chiesto di uscire dalla stanza, mentre Randi mostrava l’immagine al paziente e alle persone presenti. Quando il facilitatore rientrava, prendeva il bambino per mano e gli chiedeva di scrivere il nome dell’immagine che aveva visto, il bambino digitava solo nomi errati.

 

Il cavallo Hans

Nei primi del 900 raggiunse fama mondiale. Sapeva fare le quattro operazioni aritmetiche.

Leggere: se si ponevano una serie di parole scritte davanti a lui, batteva lo zoccolo su quella pronunciata. Alla domanda 15 + 18 batteva lo zoccolo per 33 volte a terra.

Alle domande che richiedevano un si o un no muoveva il capo verticalmente o orizzontalmente.

Nel 1904 lo psicologo Oskar Pfungst, studiò Hans.

Gli venne mostrato un numero scritto del quale lo sperimentatore poteva essere o no a conoscenza.

Nel primo caso rispondeva correttamente nel 98%  dei casi, nel secondo caso nell’8%.

 

Oppure c’erano due sperimentatori. Uno sussurrava un numero in un orecchio e l’altro nell’altro orecchio e poi gli veniva chiesto di sommare. La risposta era corretta solo se entrambi erano a conoscenza dei numeri sussurrati. Pfungst riuscì a ottenere risposte corrette anche senza formulare la domanda. Se però non poteva vedere la persona rispondeva a caso o non rispondeva affatto. Alla fine Pfungst si rese conto dei cenni minimi della testa da parte di chi poneva la domanda. Dopo aver posto la domanda la persona spostava la testa e il tronco in avanti e quando arrivava al numero corretto faceva un leggero movimento indietro. Imparando quali erano i segnali involontari Pfungst riuscì  a controllarli volontariamente e a guidare la riposta del cavallo facendolo sbagliare.

Poi allenandosi raggiunse anche tale abilità chiedeva al soggetto per esempio, di immaginare un numero e poi cominciava a battere la mano, riuscendo ad arrestare i battiti raggiunto il numero pensato dal soggetto.