Come intendere il sintomo

Il terapeuta Ericksoniano considera il sintomo come un dono e lo caratterizza di connotazioni positive poiché adempie a molteplici funzioni secondo la particolarità dell’individuo. La resistenza del cliente non va vista come una ulteriore patologia bensì come la risposta alla violazione da parte del terapeuta di alcune regole, poiché "a ogni sintomo è associato un insieme di istruzioni personali e contestuali per il suo impiego adeguato. [...] Quella che di solito chiamiamo resistenza in realtà il più delle volte è un insieme bene elaborato di ingiunzioni che, se accolte con garbo, costituiscono una buona mappa per aggirare il sintomo in tutti i suoi contesti." (Michele Ritterman - L’ipnosi nella terapia familiare, Astrolabio, 1986 Roma,p. 77)

Secondo Ritterman la terapia va vista come un rituale di scambio. Il rituale più primordiale che fin dagli albori della storia ha consentito la vita sociale è stato il dono e i favori tra clan e individui legati in tal modo da un rapporto di reciprocità.

Le tre fasi che regolano lo scambio del dono sono: il dare, l’accettare e il ripagare.

Michele Rittermann consiglia di interpretare lo scambio terapeutico secondo questo modello. Anzitutto il sintomo va accettato come un dono e quindi va ricevuto in modo tale da salvaguardare le sue caratteristiche positive. Inoltre non è corretto sputare sul dono facendo intendere cose del tipo: "il tuo sintomo non è abbastanza buono, il tuo problema non è quello è...." oppure dire che il problema non è poi così importante.

Occorre inoltre ricordare che "il paziente porta sia il sintomo, sia un insieme più o meno esplicito di istruzioni per l’uso. Se il terapeuta gestisce male il sintomo, l’offerta può umiliare il paziente o indurre in lui il dubbio che il terapeuta non sia all’altezza dell’offerta che gli viene fatta." (Id. ibid., p. 78)

Quindi nel ricevere il sintomo non è corretto criticare il modo con cui viene presentato cioè criticare la resistenza, così come non è possibile accaparrarsi il dono senza dare nulla in cambio. In effetti la rimozione o la distruzione del sintomo non è l’obiettivo finale.

A questo proposito un esempio che fa Rittermann è quello della ragazza con le verruche:

"Credendo di dover asportare le verruche che in quel momento proliferavano abbondantemente sul viso della ragazza, il terapeuta effettuò su di lei un’induzione di trance di media profondità, nella quale la ragazza doveva immaginare di far morire di inedia le verruche o di bruciarle. Tuttavia dopo la seduta, le verruche continuarono, anzi si avvicinarono alla bocca della ragazza. Il terapeuta modificò il proprio approccio riguardo alle malattie più in generale applicandolo alle verruche, questa volta apprezzando positivamente il significato relazionale del sintomo. Si chiese se non c’era una verruca che la ragazza avrebbe voluto salvare. In trance la ragazza disse: "Si. È un segreto. È la mia peferita. Tra le dita dei piedi. [...] Nel giro di una settimana le verruche sul viso erano scomparse. Quella segreta era rimasta. La ragazza aveva bisogno di accrescere il proprio potere e il proprio controllo sul problema, e non che il terapeuta se ne sbarazzasse." (Id. ibid., p. 85)

 

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